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lunedì 25 luglio 2016

Qualche pensiero dopo la strage di Kabul. Se i talebani diventano alleati

La strage dell'altro ieri a Kabul con un'ottantina di morti tra gli hazara (ma non c'erano solo loro) che protestavano per essere stati tagliati fuori da un progetto energetico che bypassa la loro provincia, racconta molte cose. La prima è che Daesh ci sta provando sempre più seriamente con l'unica strategia che ormai gli resta. L'altra è che non colpisce solo nel mucchio: seleziona e, per la prima volta, si intromette in una manifestazione politica. L'altra cosa ancora è che - come a Parigi o a Dacca - bisogna difendersi in tanti modi e la sola repressione non basterà. Bisogna saldare alleanze e in Afghanistan l'unica alleanza possibile per sgominare Daesh... sono i talebani.

Nate nell'humus della guerra, le cellule di Daesh sono più esposte sul fronte islamista che non su quello della pura repressione governativa: com'è noto, in certe zone del Paese la polizia o l'esercito non ci vanno proprio. E se un villaggio da solo non ce la fa a estromettere queste cellule del cancro califfale, i talebani possono farlo. L'hanno già fatto. Sono i loro peggior nemici. Il movimento talebano non è mai stato jihadsita nel senso che comunemente attribuiamo alla parola "jihad", meccanicamente tradotta (e ridotta) alla locuzione "guerra santa". I talebani sono un movimento di liberazione nazionale che anche da Al Qaeda, e dal suo progetto di jihad globale, si sono sempre dissociati fin da tempi non sospetti. Ospitare bin Laden non significava aderire al suo progetto. Così vero, che i talebani furono disposti a negoziare direttamente con gli americani, nemico numero uno di Al Qaeda. Può non piacere ma la guerra talebana è una lotta per la liberazione dell'Afghanistan dall'invasore straniero. E', a tutti gli effetti, una lotta partigiana, benché possa non piacerci né la radice ideologica (la lettura religiosa della scuola Deobandi) né tantomeno i mezzi con cui viene condotta che, va detto, non sono troppo dissimili da quelli che anche noi e l'esercito afgano utilizziamo o abbiamo utilizzato (voglio dire che, se per colpire un obiettivo militare, si fa poi una strage di civili, non c'è molta differenza tra una bomba sporca sulla strada messa dai talebani e un drone che spara un missile su un matrimonio perché le informazioni erano sbagliate). Ora, per i talebani Daesh non è solo un "concorrente" sulla piazza dell'islam politico: è un invasore i cui obiettivi sono del tutto diversi da quelli del movimento.



Questa è ovviamente una lettura provocatoria e certamente lacunosa. Ci sono pezzi del movimento talebano sicuramente stragisti e ci sono state azioni commesse da talebani o supposti tali da cui i talebani stessi han preso le distanze (come hanno fatto col massacro di sabato a Kabul). Ma ciò che vorrei argomentare è che, nel caso afgano, né noi come forza occupante, né il governo di Kabul stiamo, credo, andando nella direzione giusta. Finché continueremo a negare la strada del negoziato (ammazzando per esempio il capo dei possibili negoziatori), non andremo da nessuna parte. E fin che le truppe d'occupazione non saranno tornate a casa, difficilmente i talebani sceglieranno di negoziare. Si può sperare in una guerra di logoramento ma in Afghanistan si combatte da quasi quarant'anni. Quanti ce ne vorranno ancora? Quanta morte, quanto dolore?

Infine ecco apparire la variabile Daesh che ancora non sappiamo a quale agenda corrisponda. A quella di Raqqa, può darsi, ma forse anche a quella di  qualche cellula talebana impazzita: molti talebani rimasti senza lavoro (chi rubava ad esempio ed è stato espulso dal movimento) possono aderire a un progetto che forse gode anche dell'appoggio di qualche potenza straniera che ha a cuore l'instabilità del crocevia tra Asia centrale, Medio oriente e subcontinente indiano. E noi, da che parte stiamo?

Se qualcuno libererà l'Afghanistan da Daesh saranno i talebani. E se invece di organizzare tavole rotonde e summit, mettendo cerotti alla devastazione della guerra e tentando di arginare il fiume in piena dei migranti verso Ovest, ragionassimo sull'unico passo da fare? Ossia, lasciare il Paese (continuando a  pagare gli stipendi ai soldati)? Allo stesso tavolo e riconosciutisi reciprocamente  come forza politica, talebani e governo potrebbero trovare la quadra. La gente è stanca della guerra e al passo decisivo mancherebbe davvero poco. E' che bisogna però rinunciare alla basi militari, a mettere il nostro cappello sulla testa degli altri e bisogna accettare che altri Paesi entrino nel gioco delle alleanze che Kabul deciderà di fare. Altrimenti la guerra continuerà e alimenterà anche idee come quella del califfato, oggi poca cosa ma domani chissà. Abbiamo delle responsabilità anche come italiani. Le abbiamo verso gli afgani e anche verso i nostri alleati europei e americani che dovremmo consigliare meglio e non seguire pedissequamente. Andiamocene ma senza per questo stare alla finestra. Lontani però e fuori dal Paese con la truppa. Smettiamola di nasconderci dietro il burqa e i diritti delle donne.

Credo che alle donne afgane - e così ai loro figli, mariti, genitori e parenti - prema soprattutto vivere in pace. Vivere.  Il burqa se lo leveranno - inshallah -  anche senza di noi.

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