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domenica 24 luglio 2016

Ankara, Mosca, Teheran. La nuova politica estera del sultano in cerca di alleanze. A Est

L'immagine è ripresa dal sito Il caffè geopolitico
Se il vecchio adagio “I nemici dei miei nemici sono miei amici” è sempre valido, potrebbe essere questa la chiave di lettura della recente svolta turca in politica estera. Non che il golpe c'entri qualcosa con un processo già avviato (col “licenziamento” in maggio del premier già capo degli Esteri Ahmet Davutoğlu), ma certo la presa di distanze dal comportamento di Erdogan di molti Paesi, a cominciare dalla Germania di Angela Merkel, ha probabilmente accelerato un processo di cui si sono visti recentemente i primi passi formali. Il  più evidente è quello verso la Russia, dove una delegazione del governo turco, guidata dal vice primo ministro Nurettin Canikli, si recherà in visita il 26-27 luglio per colloqui – dicono fonti di stampa – che dovrebbero includere l’energia. Dopo le scuse turche per l'abbattimento del bombardiere russo, la marcia innestata è quella alta: Mosca dal canto suo ha ripreso i voli per la Turchia e presto riprenderanno anche i charter, carichi di turisti russi in cerca di spiagge europee. Avviata una nuova luna di miele con Israele, si è visto un seppur timido riavvicinamento anche con Teheran (che avrebbe avvisato Ankara dell’imminente golpe), amica nemica di sempre. «Sono mosse che si spiegano con alleanze di mutuo interesse perché – spiega Michele Brunelli, storico dell'Università di Bergamo - alla Russia fa comodo un alleato come la Turchia che non ha aderito all'embargo imposto a Mosca. Per la Turchia invece un asse con Mosca significa poter uscire dal pasticcio mediorientale dove Ankara non è riuscita a fare quel che voleva. Quanto a Teheran, in cerca di ogni possibile amico, la Turchia va benissimo e lo stesso vale per Ankara, al momento senza più grandi alleati. L’Iran è sempre stato tra l’altro un buon mercato per i turchi se si pensa al sistema di telecomunicazioni o all’aeroporto internazionale Khomeini. Poi però gli iraniani avevano frenato. Ora le cose sono cambiate e le strade si ricongiungono». Motivi economici e politici.


Il libro di Buttino su Samarcanda. Come
cambia una città post sovietica
Anche Marco Buttino, storico dell’Università di Torino e studioso dell’Asia centrale ritiene che la nuova alleanza con Mosca sia più che possibile: «E se il passato ci insegna qualcosa – aggiunge – Turchia e Russia, quando c’era L'Urss, furono già alleati ai tempi di Atatürk. Allora Mosca temeva il panturchismo nelle aree di sua influenza e dunque ci fu un patto tra i due Paesi. La Russia per altro ha sempre avuto bisogno della Turchia per arrivare al Mediterraneo. E ci sono sempre stati due modi: la guerra o la pace. Adesso si sceglie la seconda per due governi che si assomigliano, perché l’islamismo di Erdogan ha un elemento nazionalistico e c’è una sorta di retorica comune. Infine la Turchia è mezza Europa e mezza no e inoltre è dentro la Nato, elemento che adesso crea scompiglio. Mosca non credo voglia far guerra all’Occidente o agli Stati Uniti; credo però che sia interessata al mantenimento ai suoi confini di aree di forte instabilità, di guerre - diciamo - che non finiscono mai, dalla Georgia all’Ucraina al Nagorno-Karabakh. Elementi che le consentono di esercitare la sua influenza». Se la Russia non si preoccupa troppo dell’islamismo di Erdogan, non teme però che Ankara riprenda il suo vecchio progetto panturco nei Paesi di lingua turca dell’ex Urss? «Quel progetto fallì alla metà degli anni Novanta – ricorda Buttino, autore di “Samarcanda” un saggio uscito per Viella in cui analizzi i cambiamenti dal 1945 di questa città dal nome evocativo – quando quei Paesi si spaventarono degli investimenti turchi, dalle moschee ai programmi televisivi. Ora non credo ci sia questo pericolo né questo disegno il che rende ancora più possibile un patto che rende più forti sia Ankara sia Mosca».

Un altro elemento lo aggiunge Fernando Orlandi della Biblioteca-Archivio del Centro studi sulla storia dell’Europa Orientale (Csseo): «Dopo l’abbattimento del Sukhoi russo nel novembre del 2015, collassarono i colloqui per un progetto chiave sia per Mosca sia per Ankara: il cosiddetto Turkish Stream, una gasdotto che dovrebbe portare il gas russo in Turchia via Mar Nero. Dopo il fallimento di Nabucco e di South Stream, questa era una carta fondamentale della politica energetica della regione e credo che adesso il progetto tornerà in auge» Ne parlerà martedì a Mosca la delegazione turca? «Dopo le scuse turche, Gazprom si era già detta disponibile al dialogo con Ankara e comunque Erdogan e Putin si incontreranno al Cremlino ai primi di agosto. Stiamo parlando di un affare da 60 miliardi di metri cubi di gas all’anno».

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