Visualizzazioni ultimo mese

Cerca nel blog

Translate

giovedì 1 settembre 2016

La posta in gioco a Naypyidaw

Centinaia di delegati delle minoranze etniche e dei gruppi armati in lotta da sempre col governo centrale birmano hanno partecipato ieri all’apertura della 21ma Conferenza di Panglong, dal nome della città dove nel 1947 si celebrò il primo incontro. Che dal ‘47 se ne siano tenuti solo una ventina la dice lunga sulla distanza tra il centro e la periferia ma il fatto che la Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, ora al governo del Paese, sia riuscita in pochi mesi dalla sua vittoria elettorale in novembre a convocarla – pur suscitando qualche polemica tra chi l’ha vissuta ancora come un'imposizione dal centro – la dice lunga sulla volontà di sistemare le cose in un Paese con 135 gruppi etnici riconosciuti per legge e oltre una ventina di gruppi armati secessionisti di cui 17 partecipano agli incontri nella capitale.

Nel febbraio del 1947 a Panglong – nello Stato Shan, 700 chilometri a Nord di Ranggon - ci provò per la prima volta il padre di Aung San Suu Kyi, il generale Aung San: sul piatto c’era l’indipendenza dagli inglesi. E il patto siglato a Panglong era che, in cambio di un'alleanza anti britannica, il nuovo corso post coloniale avrebbe riconosciuto agli alleati sia una base legale sia la possibilità di secedere. Ma dopo l’indipendenza dal Regno unito nel 1948, e con Aung San già assassinato dai sicari dei suoi avversari politici nel luglio del ‘47, il patto fu tradito. Il pugno divenne anzi assai duro con un potere militare diventato la cornice istituzionale del Paese.


Secondo gli osservatori locali non ci si può aspettare troppo dai cinque giorni della Conferenza ma è anche abbastanza chiaro che non sono le conferenze a sistemare le cose. Sono un segno però di apertura al dialogo che sembra far dunque rispettare al governo un’agenda politica in cui il processo negoziale coi gruppi armati, in stallo da anni, resta una priorità. E così quello con le minoranze che rappresentano circa il 40% della popolazione del Paese (oltre 50 milioni di abitanti).

Alla Conferenza Aung San Suu Kyi è affiancata dal generale Min Aung Hlaing, a capo delle forze armate ma uomo con cui la Nobel ha saputo costruire un’intesa. A Naypyidaw, la nuova capitale del Myanmar, è arrivato però anche Ban Ki-moon che questa volta non si è limitato al cerimoniale. Il segretario generale dell’Onu ha affrontato con Suu Kyi una questione spinosa: i Rohingya, quel milione di musulmani che vive sul confine occidentale e che non solo non è presente alla Conferenza ma non rientra neppure tra le minoranze riconosciute. Indocumentati vissuti come “immigrati clandestini” venuti dal Bangladesh da una popolazione in maggioranza buddista che non ha esitato a paventare un’ipotetica jihad per dare addosso alla piccola e vessata comunità fedele al Profeta. 120Mila tra loro sono alloggiati In «squallidi campi per sfollati interni», scrive il giornale Irrawaddy, mentre in tanti han preso la via del mare cercando fortuna a Sud, in Thailandia o Malaysia.
Campi profughi per gli sfollati della lunga guerra interna si trovano invece a ridosso del confine occidentale con la Thailandia ed è l’altra immagine che accompagna la conferenza. Questa volta si spera. Sembra che Pechino, sponsor di molti gruppi armati, specie lungo i suoi confini, questa volta abbia indirettamente sostenuto la partecipazione agli incontri. Tra gli ottimisti c’è ad esempio Khua Uk Lian, membro del Chin National Front, uno dei tanti gruppi guerriglieri. Ma per far finire il conflitto - ha detto all’agenzia France Press – i problemi da risolvere sono tanti: oppio, risorse, tensioni locali. La partita è aperta.

Nessun commento: