In questa riflessione per DinamoPress - un po' disarmato dalla ridda di voci che ci mettono in guardia dal pericolo giallo - mi chiedo se deve farci davvero paura la Nuova Via della Seta?
Negli anni Settanta un’intera generazione fu abbagliata dal maoismo. Ero tra quelli: filocinese allo spasimo con una copia del libretto rosso e un abbonamento al Pekin Information, disponibile in varie lingue. Pensavamo ai meriti della rivoluzione cinese ma preferivamo non sapere o non vedere il dramma della rivoluzione culturale. Sapevamo che in quel grande Paese era finita l’era della borghesia compradora – il tramite locale del commercio coloniale – e che finalmente tutti potevano mangiare. Ma ci illudevamo che il modello fosse definitivo ed esente dalle pecche insite nella traduzione cinese del leninismo: centralista, autoritaria, univoca.
Poi sull’Impero di mezzo calò un silenzio durato mezzo secolo fino alla scoperta che il modello aveva trasformato il socialismo in capitalismo di Stato la cui applicazione egualitaria risiedeva nello slogan “arricchirsi è giusto”. Libertà per tutti di far soldi purché all’interno delle linee visionarie partorite dal Comitato centrale. Un po’ di anni fa i cinesi hanno cominciato ad allargare la visione al di là dei confini come un Impero che si rispetti deve fare. E adesso siamo qui a fare i conti con una scelta di campo: restare con gli americani, di cui conosciamo pregi e pecche, o affidarci alla Nuova Via della Seta indicata da Pechino? O ancora trovare un equilibrio tra i due imperi oppure rifiutare in toto l’avanzata dei musi gialli restando ancorati alle antiche sicurezze e ai loro difetti senza correre il rischio di sperimentarne di nuovi?
Se devo dirla tutta, son rimasto filocinese. Ma col tempo ho ovviamente imparato l’arte del dubbio e a soppesare i pro e i contro da mettere sul piatto della bilancia. Oggi nel mondo ci sono grosso modo tre imperi: quello americano, quello russo e quello cinese. Bisogna farci i conti anche se obtorto collo. Posto che siamo molto vincolati al primo e che, purtroppo, nessuno dei tre si distingue nel tentativo di superare un modello di sviluppo incentrato sul consumo dei beni naturali del pianeta e sul consumo del surplus di beni prodotti dall’industria, da che parte dobbiamo stare? O meglio, visto che difficilmente possiamo liberarci dall’abbraccio americano – ci piaccia o no - e che non siamo molto interessati a quello post sovietico-zarista - cosa dobbiamo temere dai Grandi Timonieri?...
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PS
Una lettura equilibrata tra potenzialità e rischi dell’abbraccio l’ha scritta Andrea Pira per Sbilanciamoci
1 commento:
bellino, sono d'accordo su quasi tutto (e il quasi è per salvaguardare la mia tradizione di bastian contrari)
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