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sabato 27 giugno 2020

Indonesia, l’islam vince lo scontro con Jokowi

Pancasila, i “cinque pilastri” alla base della concezione filosofica e ideologica dell’Indonesia sono stati celebrati il 1 giugno scorso a 75 anni dalla loro enunciazione fatta da Sukarno nel 1945 come piattaforma della futura Costituzione dell’Indonesia indipendente. Ma subito dopo si è scatenata una polemica che ha congelato la discussione sulla trasformazione dei Pancasila in legge dello Stato. Una scelta in un certo senso “laica” ma anche di controllo dello Stato su gruppuscoli neo fondamentalisti.
Il disegno di legge viene dal partito del presidente Jokowi (Pdi-p) e per altro la responsabile dell’Agenzia che ne è custode (Bpip-Badan Pembinaan Ideologi Pancasila ) è presieduta dall’ex presidente Megawati Sukarnoputri che del partito è presidente.

La legge su Pancasila (diritto alla propria fede religiosa, umanità giusta e civile, unità del Paese, democrazia e giustizia sociale), dovrebbe dunque essere oggetto di un riforma che, nel trasformarla in legge dello Stato, mira a rafforzarla. Ma alcuni settore del mondo musulmano – a cominciare dal potente Consiglio degli ulama (Mui) l’hanno contestata sostenendo che il progetto di legge appiattisce il ruolo della religione e che l’assenza del famoso decreto del 1966, che mise al bando il Partito comunista, è una porta aperta al comunismo. I suoi fautori sostengono invece che la legge metterebbe in difficoltà i gruppuscoli estremisti di ogni colore che sono contro lo sviluppo della democrazia. L’opposizione alla legge, capeggiata dai partiti e dalle organizzazioni islamiche più radicali, ha contagiato però anche Muhammadiya e Nahdlatul Ulama, le due più grosse organizzazioni di massa dell’islam indonesiano, di solito su posizioni moderate, facendo leva anche sul fatto che Jokowi (il cui braccio destro - il vicepresidente Mar’uf Amin – viene però paradossalmente proprio dalla Nu) non sarebbe un “buon musulmano”. Si dice che la scelta di Mar’uf Amin fu dettata proprio dall’opportunità per Jokowi di dimostrarsi un bravo fedele nel paese musulmano più popoloso del Pianeta. Nel contempo però anche le organizzazioni di tutela dei diritti umani hanno espresso riserve temendo una stretta sulla libertà di espressione.

Alla fine, lo scontro tra presidenza e islam politico, quest’ultimo appoggiato da importanti personaggi dell’esercito, ha fatto saltare la discussione a data da destinarsi. Il fronte conservatore insomma l’ha avuta vinta. Il clima dei giorni scorsi sembrava ricordare quello della nascita dell’Indonesia indipendente che vide anche allora lo scontro tra nazionalisti “laici” da una parte (termine da usare con le molle) e islam politico dall’altro.

Pancasila, aveva nella primigenia idea di Sukarno tre caratteristiche di base chiamate Trisila (tre principi) costituite da socionazionalismo, sociodemocrazia e religione. Tutti e tre questi valori venivano però cristallizzati nell’Ekasila (un principio) del gotong royong, antichissimo termine giavanese che significa aiuto reciproco collettivo. Sukarno però alla fine tornò all’idea di Pancasila, probabilmente per accontentare gli islamisti senza cedere su un altro punto: il preambolo della Costituzione dove l’islam voleva introdurre il principio della sharia che invece venne scartato. Nel suo studio “Gotong-Royong” (2017) il filosofo indonesiano Agustinus Wisnu Dewantara sintetizza così l’origine del dibattito: “Sukarno propose Pancasila (nel 1945 alla vigilia dell’indipendenza ndr) come fondamento filosofico dell'indipendenza dell'Indonesia… proponendo di riassumere i cinque principi basi in Trisila, vale a dire: socio-nazionalismo (sintesi di nazionalità e umanità), socio-democrazia (sintesi di giustizia sociale e democrazia) e divinità. Non fermandosi qui, riassume nuovamente Trisila in Ekasila (gotong-royong)... formulazione che voleva salvaguardare quelli che non fossero d'accordo con Pancasila, per cui Sukarno sentì il bisogno di offrire un'alternativa, vale a dire Trisila ed Ekasila. Lo stesso Sukarno alla fine sottolineò però di nuovo il termine Pancasila”.

Come era già accaduto proprio ai tempi di Sukarno, una parte del mondo musulmano ha reagito scandalizzata all’idea che Pancasila possa diventare legge ordinaria dello Stato, codificata in un corpus che, secondo alcuni, riprendendo quei concetti, metterebbe la religione in secondo piano. Una vecchia polemica alimentata da una nuova decisione: la legge, voluta dal partito di maggioranza, avrebbe escluso il famoso decreto numero 25 del marzo 1966 voluto dal dittatore Suharto che metteva al bando il Partito comunista (e che già Wahid, presidente e leader della Nu aveva tentato di annullare durante la sua presidenza senza riuscirci). Ma anziché essere considerata una mossa di apertura o di riconciliazione per una guerra civile dove morirono almeno 500mila indonesiani in gran parte comunisti, la legge è stata interpretata, oltre come una sorta di legge contro l’islam, addirittura come un’apripista al comunismo, “un’ideologia morta e sepolta”, fa notare una fonte locale secondo la quale la querelle è stata soprattutto un pretesto per agitare le acque attorno al potente presidente della Repubblica per metterlo in difficoltà. E forse anche per non fare i conti con un passato ingombrante proprio perché islamisti e generali appoggiarono quel famoso decreto e sostennero l’Orde Baru inaugurato da Suharto nel 1966.

Questo articolo è stato scritto per atlanteguerre.it

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