“La sera del 24 dicembre 2020 il corpo senza vita di Zhage Sil, seminarista cattolico, è stato trovato in un fossato a Jayapura, città della Papua indonesiana. Secondo la polizia locale – scrive l’agenzia vaticana Fides - sono tuttora ignoti gli autori del delitto… Alla comunità di Sorong-Manokwari, diocesi cui Sil apparteneva, sono giunti numerosi messaggi di condoglianze di leader religiosi e laici che condannano fermamente l'atroce atto”. La vicenda che riguarda il seminarista è solo l'ultimo dei molti episodi che costellano il clima di violenza che avvolge la provincia indonesiana di Papua (ex Irian Jaya), la parte occidentale della vasta realtà insulare che conosciamo come Nuova Guinea, seconda isola al mondo per grandezza.
La violenza, nella parte occidentale che appartiene all’Indonesia, non ha particolari sfumature religiose ma ha visto diversi omicidi senza responsabili di protestanti e cattolici, cosa che li ha fatti venire alla luce gettando un’ombra sinistra sull’Indonesia del presidente riformista Joko Widodo, detto Jokowi. Se Zhage Sil stava per diventare diacono e quindi sacerdote nella diocesi di Jayapura, il motivo del suo omicidio sembra infatti riconducibile più alla sua attività di uomo sensibile ai diritti e non solo di religioso. Nelle parole di un collega, Sil “era una persona coraggiosa che si interessava dei bisogni delle persone, e non aveva paura di alzare la voce, soprattutto quando si trattava di giustizia". Il punto sembra stare qui (alzare la voce), dove si incrocia la lotta al razzismo contro i papuani (di pelle scura e per i quali si contano diversi episodi di esclusione razziale) ma anche il bisogno di giustizia su episodi oscuri, come nel caso del catechista laico Rufinus Tigau, ucciso nell'ottobre scorso nel distretto di Intan Jaya. Un caso che diventa virale e squarcia il velo del silenzio su quanto avviene a Papua e Papua Barat, le due province indonesiane della Nuova Guinea.
(continua su Lettera22)
1 commento:
Hi nice reading youur post
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