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domenica 13 luglio 2008

VOGLIA DI NORMALITA' NELLA CAPITALE DELLA GUERRA


Alla fine consideriamo gli afgani un popolo di guerrieri in armi, tutt'al più in fuga dalla guerra. Eppure in questo paese c'è anche una maledetta voglia di normalità. Di un week end fuori porta come pensiamo di meritare anche noi a ogni fine settimana. Un viaggio controcorrente nel turbine del conflitto



Kabul - I milanesi che al week end prendono la via dei laghi, non meno dei romani che al fine settimana scelgono Bracciano o il piccolo bacino lacustre di Martignano, mettono sempre in conto di partir presto. Dopo le dieci del sabato mattina c'è una coda che non ti dico e lo stesso vale, dopo le cinque del pomeriggio, alla domenica. Ma cosa pensereste se la medesima cosa capita a Kabul, la capitale per eccellenza del conflitto permanente e di una guerra nemmeno poi tanto nascosta?
Eppure se al venerdì, che è poi la nostra domenica, vi avventurate sulla strada verso Paghman avreste delle sorprese. Questa “ridente” cittadina a Ovest della capitale, è un luogo famoso per un Arco di Trionfo dedicato a re Amanullah che qui nacque ed è nota per il clima mite. Tappa obbligata di ogni gita turistica, si trova sulla strada che passa per Kargah, un lago artificiale costruito all'inizio degli anni Sessanta e sovrastato da un enorme ristorante con terrazza, giardini ben curati e vista, oltre che sul lago, sulle ville della famiglia reale che, ai bei tempi della monarchia, reclamava tutto per sé questo angolo di pace alle porte della città. Ma la pace è un concetto tutto virtuale. E non solo perché un vento dispettoso trascina, nei potenti refoli che attraversano il lago, dei piccoli tornadi di polvere che si perdono sullo specchio d'acqua. L'amena località è piena di famiglie, coppiette, anziani in cerca di frescura, venditori di manghi e meloni, improvvisati ristoranti con l'immancabile kebab nelle sue svariate forme e versioni. La ressa è così potente che già ve ne eravate accorti uscendo da Kabul nei rallentamenti lungo la strada a due corsie che porta fuori città. Sul ponte che fa da cintura alla diga, il rallentamento si fa coda ed è solo l'anticipo di quel che vi aspetta al rientro. Il ristorante-parco sul lago prevede un biglietto d'ingresso con consumazione annessa. Sotto una tettoria, un gruppo rigorosamente maschile di pashtun di varia estrazione sociale e svolazzanti nelle larghe shalwaz kamez o in abiti di taglio occidentale, si fanno una canna sorseggiando tè. Bambini fortunati leccano gelati o succhiano lattine mentre fratellini meno baciati dalla dea bendata vendono gomme da masticare o improbabili dolciumi accatastati in rigide scatolette di sudicio cartone. Qualche coppietta di giovani cittadini, lei appena coperta dal velo, scendono sulla riva del lago a bagnarsi i piedi e a stonare nel quadretto, in effetti, c'è solo un gruppetto di giovani funzionari dell'ambasciata inglese accompagnati da due mastini con auricolare, giubbotto antiproiettile, pistola e trasmittente che stanno a debita distanza ma non certo con l'intenzione di non farsi notare...

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