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giovedì 14 agosto 2008
AFGHANISTAN, I NODI AL PETTINE E IL RUOLO DELL'ITALIA
Il mantenimento della sicurezza a Kabul, finora compito della Nato, passerà il 28 agosto sotto il controllo delle forze afgane. Recitano così i comunicati che rendono ufficiale la notizia che circola da tempo. I nostri soldati, che fino alla fine del mese hanno il compito di proteggere la capitale, passeranno la mano e si trasferiranno ad Herat.
E' l' “afganizzazione” promessa all'ultimo vertice Nato di Bucarest in cui l'Alleanza, nel vuoto di strategia politica che sembra aver colpito europei e americani, ha tirato fuori il suo coniglio dal cilindro. Ma sono in tanti a chiedersi se basterà, se oltre al simbolico passaggio di consegne, c'è qualche nuova idea o non piuttosto, come si mormora nei corridoi delle cancellerie, un modo raffinato per sfilarsi da un conflitto diventato ormai una palude. Il nodo delle vittime civili, la doppia missione Isaf e a guida americana, l'impasse in una ricostruzione che non produce ricchezza e lo scoglio di un governo fragile come il suo presidente a cui tutti stanno facendo la posta, sono solo alcuni dei nodi da sciogliere.
In questa palude si trova anche l'Italia che, in termini numerici, rappresenta la terza forza militare dopo americani, britannici e tedeschi. Ma non ci sono solo i numeri. L'Italia ha anche il peso, l'onere o l'onore, di avere ottenuto in questi mesi una serie di riconoscimenti politici che hanno piazzato i nostri diplomatici e militari in posizioni di tutto rispetto. E quindi di maggior responsabilità. L'ultimo avvicendamento è di ieri: il colonnello dei carabinieri Umberto Rocca è il nuovo vicecomandante della missione di polizia europea (EuPol). Subentra al tenente colonnello Nicola Mangialavori, giunto a fine mandato e si tratta dunque di un avvicendamento nelle cose . Ma l'Eupol (è guidata dal generale tedesco Juergen Scholz) è anche una delle maggiori scommesse della Ue. Su cui però si è impegnata troppo poco (120 uomini che dovrebbero però aumentare a 400). La sua scommessa è preparare una polizia moderna (e consapevole), un modo intelligente di dare agli afgani il loro paese. Potrebbe fare molto di più (nella foto, poliuziotti afgani).
Non è invece normale avvicendamento la nomina di Ettore Sequi, già ambasciatore a Kabul (a metà settembre rileverà la sede il nuovo capo missione Claudio Glaentzer) che è da luglio il nuovo rappresentante speciale della Ue in Afghanistan. La nomina è stata in forse molti mesi (si diceva che vi concorresse la Germania) e segue alla fine dell'incarico del catalano Francesc Vendrel che, prima di andarsene, aveva rilanciato la controversa idea che coi talebani ormai, in un modo o nell'altro, si deve trattare. Ma non c'è solo Sequi: in maggio a un altro diplomatico italiano, Fernando Gentilini, è stato attribuito l'incarico di 'Senior Civilian Representative' della Nato in Afghanistan. Ruolo delicato perché può persino diventare un boomerang proprio nel momento in cui il problema delle vittime civili sta diventando il nodo principale.
Eppure, nonostante le difficoltà, proprio la nostra presenza in posti così rappresentativi (con il responsabile di Unama, Kai Eide, si tratta dei tre ruoli di responsabili civili più importanti a Kabul) potrebbe essere un formidabile atout in un momento in cui la sola opzione militare e la speranza di superare il conflitto usando soltanto le armi appare evidentemente col fiato corto. Saprà l'Italia raccogliere questa opportunità saldando all'azione diplomatica le richieste che provengono dalla società civile italiana, europea e, per quanto con voce flebile, da quella afgana? Sono pressioni che chiedono una svolta politica e una nuova visione della nostra strategia – e di quella europea – in Afghanistan. Per ora non ci sono segnali incoraggianti. E la finestra delle opportunità sembra si stia rapidamente per chiudere.
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