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sabato 14 febbraio 2009

SAMARCANDA 2 (chiacchiere e sangria)


Raccontare il nulla. E come si fa? Eppure nel nostro mestiere si deve saper fare anche questo. Un utile esercizio. Avevo promesso di raccontare l'avventura del “Samarcanda”, un locale che ha quarant'anni di storia e che aprì i battenti quando, sul regno d'Afghanistan, la cui lingua ufficiale era il francese (Royaume d'Afghanistan, donc allors), regnava felice e incontrastato re Zahir Shah.
Il locale è sempre stato di proprietà turca e ancora lo è. Ma la gestione ce l'ha un giovane afgano, Nadir, che ieri ha lanciato l'inaugurazione ufficiale del suo locale. Io e l'Ammiraglio però, il compagno ineludibile di queste sortite notturne, ci siamo andati dopo le dieci e mezza, come si conviene a due scafati navigatori di “chiacchiere e birrette”, titolo prescelto per questi giri by night dove io sono un semplice marò e al timone c'è ovviamente l'Ammiraglio. Ma non c'era un cane. Né turco né afgano, tanto meno internazionale. Pare che nel pomeriggio sia andata meglio.
Nadir dice che è stata la neve ma per la verità ammette che anche la vicenda dell'altro giorno, i tre attentati sincronizzati e ben organizzati dei talebani in città, ha ristretto le misure di sicurezza e a molti expat è stato forse vietato di uscire la sera. Possibile. E certo la neve, caduta copiosa sino a ieri pomeriggio (una manna per i contadini), non ha aiutato.
E dunque eccoci in un locale vuoto dove sono più i camerieri che i consumatori. Facciamo un giro di sangria leggera e beviamo un'etichetta nera per chiudere. Ripensando al 2005, anno che pare sia stato una manna per i locali: l'Elbowroom, tra l'ambasciata cinese e il compound dell'Onu, l'intramontabile Atmosphere, il raffinato Bistrot per il brunch del venerdi, adesso chiuso per un incendio avvenuto qualche tempo fa.

I tempi bui sono arrivati col fattaccio del Serena, quando, nel miglior albergo di Kabul, entrò un commando kamikaze la cui missione era uccidere il maggior numero di persone. Era il gennaio 2008 e il fatto segnò un salto di qualità preoccupante. Per la prima volta, e in maniera plateale, veniva preso di mira un sancta sanctorum della comunità internazionale, frequentato anche da generali afgani e da locali affluenti e influenti. Adesso si dice che anche l'attacco dell'altro ieri farebbe capo, queste le dichiarazioni ufficiali, alla stessa rete: quella di Jalaluddin Haqqani, un vecchio capo mujaheddin, molto vicino ad Al Qaeda e capo di una filiera che ha basi in Pakistan e una scuola di pensiero, anche militare, autonoma e molto inquinata da elementi non afgani. Allora il Serena fu attribuito a uno dei suoi figli e si parlò anche di “nuovi talebani”, una generazione di combattenti “giovane”, ideologizzata quanto basta ma anche legata alla mafia del narcotraffico.
Ma insomma. Al Samarcanda non c'era nessuno. Quattro chiacchiere però ci son scappate. Con sangria questa volta. Niente birrette.

1 commento:

Anonimo ha detto...

in effetti un giornalista è bravo proprio quando sa raccontare bene il nulla. E ce ne sono di nulla..!