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giovedì 26 marzo 2009

LETTE SUL GIORNALE


La bomba politica
si consuma alla vigilia della primavera, a un paio di giorni dal solstizio del 21 marzo. E' un'intervista televisiva di Barack Obama alla Cbs in cui il presidente americano utilizza, per la prima volta, la locuzione exit strategy. Per Obama, exit strategy non significa abbandonare il paese al suo destino, come qualche osservatore gli aveva indirettamente suggerito in passato, ma prendere coscienza del fatto che non si può immaginare di restare in Afghanistan per sempre. Abbandonata, almeno nella sua primigenia edizione, l'idea del “surge” all'irachena, chiave di volta militare che avrebbe dovuto militarizzare piccoli eserciti tribali, Obama sembra puntare su un “surge” civile. Più funzionari ed esperti, un impegno nelle province attraverso governatori locali cui affidare l'onere di una più fattiva ricostruzione, aumento dell'esercito nazionale (fino a 400mila uomini suggerisce un articolo di stampa). Obama sembra convinto che la sola opzione militare non può dare i frutti attesi e si affida all'acume di Holbrooke, il suo inviato speciale, cui spetta unificare, in un'unica strategia diplomatica, gli sforzi su Pakistan e Afghanistan.

Per saperne di più bisognerà attendere il 31 marzo e la conferenza sull'Afghanistan organizzata in Olanda e a cui è invitato anche l'Iran. Le posizioni del paese dei mullah sono note: e le ribadisce in un lungo discorso anche l'ex leader riformista Khatami durante la sua recente visita in Australia, in cui rivendica il ruolo chiave del suo paese nella stabilizzazione dell'Hindu Kush e la necessità che le truppe straniere, percepite da Teheran come una minaccia alla sicurezza nazionale iraniana, si ritirino. Ecco dunque che in Olanda, oltre a conoscere meglio il pensiero degli Usa, sapremo bene anche cosa pensa Teheran.

Intanto a Kabul. Il Guardian pubblica un articolo secondo cui gli americani e gli alleati della Nato starebbero pensando di affiancare a Karzai – per “bypassarlo”- un “premier forte”, anticipo di una stagione elettorale che si presenta complessa. L'articolo getta un'ombra vagamente colonialista sul futuro dell'esecutivo e infatti, a breve giro, lo stesso Holbrooke si vede costretto a smentire che circoli una simile idea. Ma certo la situazione di Karzai è difficile. E anche se piace agli afgani la “svolta” di Obama (segnatamente sul rafforzamento dell'esercito nazionale), l'articolo del Guardian aumenta soltanto il grado di tensione che si respira nei palazzi della capitale. Mentre si avvicina lo scadere del mandato del presidente e i molti candidati emersi negli scorsi mesi, ancora devono dire se si presenteranno o no a sfidare il presidente uscente. Dopo l'incontro in Olanda si muoveranno probabilmente le acque anche su questo fronte

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