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mercoledì 1 luglio 2009

DURAND LINE, THE DAMNED BORDER

Tra cronaca e storia
(nell'immagine a destra: sir Henry Mortimer Durand. Più sotto, le gole del Khyber Pass)

L'epopea dell'Impero britannico nel subcontinente indiano lasciò diversi frutti avvelenati. Alcuni di questi riguardavano – e riguardano - la frontiera che il righello coloniale aveva tracciato durante le ultime stagioni del Raj, quando la Corona aveva preso il posto della Compagnia delle Indie e Londra voleva tutelarsi dalle mire zariste al confine occidentale. Altri ancora, sempre all'interno della geografia dell'Impero, riguardavano i confini tracciati da burocrati e genieri di sua Maestà per dividere il Pakistan, la terra dei puri voluta dai musulmani indiani e dal loro capo, Ali Jinnah, per separarsi dall'India di Nehru, Gandhi e del Partito del Congresso.

Il righello di Sua Maestà britannica

All'indomani della Partition del 1947, la divisione del Punjab, la ricca terra dei cinque fiumi, parlò subito il suo linguaggio di morte quando, nell'agosto del '47, la geografia delle mappe si trasformò in realtà di fatto dando luogo e a un esodo senza precedenti di oltre 14 milioni di individui al di qua e al di là della linea di demarcazione tracciata grossolanamente da Sir Cyril Radcliffe, che aveva diviso in due villaggi e stalle, canali di irrigazione e proprietà. Sul fronte Est, nella bizzarra enclave del Pakistan orientale – una porzione del Bengala oggi Bangla Desh - il veleno brillò agli inizi degli anni Settanta. Scatenò una guerra tra India e Pakistan e portò alla secessione di bengalesi “pachistani” che non si riconoscevano nell'artefatto gemello occidentale guidato da islamabad. Ma non era finita lì.
Alla fine dell'800, nel 1893, la geometria coloniale aveva tracciato un altro confine lungo 2.640 chilometri e che serviva a separare in modo evidente l'Afghanistan, di cui Londra non era riuscita ad aver pienamente ragione, dai territori sotto dominio britannico. Quel frutto avvelenato, quell'eredità geopolitica, quel lascito figlio di un calcolo attento e perverso, doveva rilasciare il suo veleno lentamente. Sino ad esplodere definitivamente con l'invasione sovietica dell'Afghanistan e, in seguito, con l'epopea talebana sino all'occupazione dell'Afghanistan da parte della Nato a partire dagli inizi del nuovo secolo. La “Durand Line”, la frontiera maledetta tra Pakistan e Afghanistan che divide in due le aree abitate dai pashtun, omogenee per tradizioni e costumi, è oggi il segno tangibile che il concetto di “AfPak” - la nuova regione geopolitica che ha per sigla l'acronimo che accorpa i due paesi - non è affatto peregrino. E' lungo questa frontiera infatti, non meno che a Kabul o a Islamabad, a Washington o a Bruxelles, che si decide il destino di Pakistan e Afghanistan e delle tante guerre che vi si combattono. A cavallo della frontiera.

La scommessa di Mortimer Durand

La Durand line si deve al lavoro di Sir Mortimer Durand, all'epoca segretario agli Esteri del governo del Raj. La nuova frontiera, destinata a chiudere contenziosi antichi e soprattutto a chiarire quale fosse - soprattutto in chiave anti russa - il bastione difensivo occidentale di Sua Maestà britannica, definiva le zone di influenza dell'India britannica e dell'Afghanistan. Il suo tracciato scatenò all’epoca una rivolta tribale nelle aree pashtun, che per essere contenuta, richiese l’invio di 35mila soldati. Fu solo una delle tante perché, racconta Olaf Caroe nel suo monumentale “The Pathans”, andare a ispezionare le aree tribali pachistane era per l'esercito si sua Maestà un'avventura. Il fuoco dei cecchini, appostati sui fianchi delle gole lungo tratturi polverosi arsi dal sole d'estate o bruciati dal gelo delle nevi invernali, faceva il tiro a segno coi soldatini dell'Union Jack. Uno dei luoghi più pericolosi era il Waziristan, una vasta area tribale controllata da diversi clan spesso in guerra tra loro. E' un nome che, da qualche anno, abbiamo imparato a memoria.
La frontiera è da sempre occasione di contenziosi e persino di scambi di poco amichevoli proiettili dalle due parti. E il suo nome si è legato, nell'andirivieni della storia, al fantasma del del Pashtunistan – terra dei pashtun – una Padania etnicamente pura che comprenderebbe un territorio vasto quanto l'Italia. A turno questo fantasma è stato agitato da questo o quell'attore ed è un'idea che resta nell'immaginario collettivo dei pashtun e dei patahn, i due nomi con cui la stessa comunità è conosciuta al di qua e al di là della frontiera. Fantasma agitato e molto temuto. A Kabul come a Islamabad che, nel 2006, aveva addirittura pensato di minare la dannata linea di Durand. Fantasma provocatoriamente agitato recentemente anche da un'economista “verde” (Hazel Henderson, l'autrice di "Ethical Markets: Growing The Green Economy") quale soluzione possibile per prosciugare il pantano che sta soffocando i due paesi....

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Lettera22

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