In attesa dei risultati ufficiali la tensione si tramuta anche nel solito vecchio gioco: soldati si, soldati no. Il Nyt dice che gli alti comandi Usa in Afghanistan vogliono più militari e risorse. Una conclusione che sembra aver a che vedere con il rovescio della medaglia del “successo” elettorale se è vero che, al Sud, avrebbe votato un elettore su dieci come dice l'opposizione a Karzai
La tensione è alta in Afghanistan. Sotto ogni punto di vista: alle accuse di brogli si sommano gli annunci di una vittoria di Karzai non ancora certificata mentre sul fronte militare i vertici impegnati sul campo mordono il freno. Vogliono più soldati e un'accelerazione da opporre a un rinnovato vigore talebano. Guerra contro guerra, più soldati e più armi proprio mentre si dovrebbe celebrare, per quanto controversa e dimezzata, la vittoria della democrazia sull'oscurantismo. Una situazione che sembra allungarsi su un precipizio pericoloso e proprio alla vigilia del giorno della verità: oggi infatti la Commissione elettorale dovrebbe dire, a spoglio ultimato di circa il 90% delle schede, se Karzai ha davvero vinto e quanti, in effetti, hanno votato.
La pressione dei militari per avere più uomini e mezzi, che ieri è diventata semi ufficiale in un lungo articolo del New York Times che anticipa quello che i vertici americani in Afghanistan diranno alla Nato e al presidente degli Stati uniti, viene in realtà da lontano. E non si poteva scegliere momento migliore, adesso che Obama è in difficoltà nei sondaggi e la guerra in Afghanistan è tanto impopolare...soprattutto se dovesse perderla. Per tutto l'inverno scorso il pressing, a colpi di indiscrezioni e anticipazioni sui “giornali amici”, aveva prefigurato uno scenario di almeno 30-40mila soldati in più. Da spostare, per far contento il presidente, dall'Iraq in Afghanistan. E con l'aumento delle truppe si era anche fatta strada l'ipotesi Petraeus: fare anche dell'Afghanistan terra di “surge” sul modello iracheno, milizie tribali armate agli ordini della contro guerriglia. Poi quel piano naufragò. E a marzo Obama annunciò che in Afghanistan sarebbero andati “solo” 21mila soldati, 4mila dei quali non combattenti. 17mila operativi dunque, non uno di più, come pare avesse spiegato proprio ai generali in Afghanistan il consigliere nazionale per la sicurezza di Obama James L. Jones. Era fine giugno.
Da quel viaggio in avanti le acque si sono calmate e la parola d'ordine è stata, per lo stesso Mc Chrystal, il generale che guida i soldati americani in Afghanistan ma che è anche capo della Nato/Isaf, “protezione dei civili”, meno bombe, più ingegneri. Ma la cosa ha retto solo fino alle elezioni: alle fibrillazioni dei candidati afgani si accompagnano quelle degli alti comandi Usa.
Il terreno lo prepara l'Ammiraglio Mullen, che è a capo dello stato maggiore americano: dice che la situazione in Afghanistan si è deteriorata “nonostante” la recente iniezione di 17mila nuovi soldati e lo sforzo extra messo in piedi per le elezioni. Lo dice alla Cnn. Più forte che suggerirlo al Congresso, magari a porte chiuse. I talebani, dice, si sono fatti più sofisticati nella tattica. Una conclusione che sembra aver a che vedere con il rovescio della medaglia del “successo” elettorale se è vero che, al Sud, avrebbe votato un elettore su dieci come dice l'opposizione a Karzai.
In questo quadro, spiegava ieri l'edizione telematica del Nyt, i generali americani diranno alla Nato che le truppe attuali non bastano. E forse questo dirà anche al Congresso il generale Mc Chrystal, di cui è atteso un rapporto sulla nuova strategia che viene continuamente rinviato. Pare che la musica sia già stata cantata dai militari anche all'inviato di Obama per la regione, Richard Holbrooke, un altro fautore dell'opzione politico-diplomatica.
Al momento gli americani hanno nel paese 57mila uomini. Con gli alleati della Nato siamo a circa 100mila, gli stessi che aveva Mosca ai tempi ardenti dell'invasione. Quanto soldati ci vorrebbero adesso?
La bizzarria del corto circuito afgano è che è un serpente che si morde la coda. Il giorno prima che il Nyt battesse la notizia della richiesta di nuove truppe, l'agenzia di stampa Reuters aveva già diffuso la sintesi del cahier de doléance presentato dai generali della Nato a Holbrooke...Il fatto è che ormai Nato e forze americane sono sempre di più la stessa cosa. Quando Richard Holbrooke parla col generale Curtis Scaparotti, che comanda il settore Est, sta parlando con un uomo della Nato o con un soldato americano? La stampa statunitense finisce così per addebitare pressioni per l'aumento di truppe anche agli italiani, quando cita il generale Rosario Castellano che si sarebbe lamentato con Holbrooke che la frontiera con l'Iran è un colabrodo perché ha solo 170 guardie. Ma in realtà, come si è visto nelle interviste date ai giornali italiani, Castellano si è ben guardato dal suggerire un aumento di soldati.
Insomma la tensione si tramuta anche nel solito vecchio gioco: soldati si, soldati no. Ne approfitta anche l'ex candidato alla Casa Bianca John McCain che, fautore di aumento della pressione militare, ha resuscitato in un'intervista il vecchio “approccio Petraeus”, il surge miliziano seppellito da Obama.
Voto a Herat: la foto è di Giuliano Battiston
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