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sabato 5 settembre 2009

LETTE SUI GIORNALI

Tratto da Asia Maior Dossier Afghanistan


Martedi 2 settembre un kamikaze si è fatto saltare in aria all'interno di una moschea durante un incontro in cui si parlava, tra l'altro, proprio del tema della sicurezza. Vi prendevano parte numerosi amministratori locali e il numero due deiservizi segreti afghani, Abdullah Laghmani. Proprio quest'ultimo, considerato molto vicino al presidente uscente Hamid Karzai, era forse l'obiettivo assieme al presidente del consiglio provinciale di Laghman, Imad Bin Abdel Hamid Zai. L'attacco è stato rivendicato dai talebani

La notizia è solo uno dei tanti elementi di turbativa del difficile processo elettorale afgano e il fatto che sia avvenuto in una moschea è forse un ulteriore elemento di riflessione sulla trasformazione della guerriglia afgana: non è un caso se il rapporto dell'Onusulla produzione d'oppio diffuso all'inizio di settembre (in calo anche nelle aree conflittuali ma con un'evidente nascita di narco cartelli) spiega che il commercio e il controllo del mercato delle droghe sta cambiando connotazione: sembra servirsi sempre di più di bande poco ideologizzate e che, pur essendo contigue ai talebani, stanno trasformandosi in una classica mafia del narcotraffico che inevitabilmente ha poi riflessi sul movimento guerrigliero che usa l'oppio per finanziarsi.

Prosegue intanto il sofferto spoglio con annesse polemiche. In proposito, il New York Times ha tirato al presidente uscente una bordata senza precedenti: a poco più di una settimana dalle elezioni presidenziali in Afghanistan, alcuni leader della tribù Bariz – scrive il quotidiano - hanno denunciato brogli elettorali, per un totale 23.900 voti, commessi dall'entourage di Karzai nel distretto meridionale di Shrorabak. Sigillando i 45 seggi del distretto e contraffacendo le schede. I Bariz se ne sono accorti perché avevano fatto un patto con Abdullah che lo spoglio ha dimostrato vano. Ma anche Abdullah non è esente da critiche: la tv afgana Ariana lo ha da poco documentato

Altre notizie arrivano intanto dagli Stati Uniti dove è appena stato presentato il rapporto strategicosull'Afghanistan dal generale McChrystal, comandante in capo sia delle forze Usa sia di quelle Nato nel paese, in seguito spalleggiato da un discorso di appoggio di Robert Gates.
Nel rapporto il generale non ha chiesto più truppe anche se tutti dicono che la richiesta prima o poi sarà avanzata benché il presidente sia contrario. E il Los Angeles Times ha scritto di un piano per salvare capra e cavoli: Washington è pronta ad inviare altre forze di combattimento in Afghanistan e sino a 14mila uomini. Ma solo «trigger-pullers», ossia combattenti effettivi. Con una sorta di gioco delle tre carte, richiamerebbe in patria unità di supporto logistiche in modo che, dice il giornale della città degli angeli, si aumenterebbe la capacità bellica del contingente lasciando invariato il numero totale dei soldati nel teatro. Barack Obama riuscirebbe così ad evitare la decisione di un ulteriore aumento delle truppe, arrivate a un totale di 68mila unità dopo che il presidente aveva dato luce verde all'invio di 21mila nuovi militari.


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