L'inviato del Nyt rapito in Afghanistan qualche giorno fa è uscito indenne dal raid con cui è stato liberato. Ma altre quattro persone, tra cui tre afgani, sono morte. Tra questi il collega trentraquattrenne Sultan Munadi
E' durato poco il sequestro del giornalista del New York Times Stephen Farrell, il secondo inviato del Nyt rapito in Afghanistan nel giro di un anno. Ma se Farrell è uscito indenne dal raid con cui è stato liberato, altre quattro persone, tra cui tre afgani, sono morte. L'operativo, cui hanno partecipato diversi soldati della Nato ha infatti lasciato sul terreno il collega del reporter, Sultan Munadi (nella foto) che gli faceva da interprete, due civili e un militare britannico. Farrell e Munadi erano stati rapiti sabato a Kunduz, la località in cui diversi giorni fa un raid aereo della Nato ha ucciso diverse decine di civili che stavano approvvigionandosi di gasolio da due cisterne rubate alla Nato dai talebani. I due stavano lavorando a un'inchiesta sulla strage quando sono stati rapiti da un gruppo di guerriglieri in turbante.
Farrell (che era già stato rapito nel 2004 in Irak quando stava lavorando per il Times di Londra) ha raccontato di aver sentito arrivare gli elicotteri e visto poi scappare i suoi carcerieri. Ma, nella sarabanda di voci e proiettili (era notte), non sa dire chi abbia ucciso il suo interprete. Dice di essere corso fuori dal luogo in cui era nascosto con Munadi gridando “ostaggio britannico” ma ha poi visto il cadavere del 34enne collega afgano per terra. Morto. Lascia due figli.
Sultan Munadi aveva a sua volta gridato “giornalisti” ma i proiettili non hanno colto la differenza. Una differenza che invece salta agli occhi degli afgani: il responsabile dell'Associazione indipendente dei giornalisti dell'Afghanistan, Rahimullah Samandar, ha detto infatti alla Bbc che le modalità del raid dimostrano come i soldati della coalizione internazionale non tengano in alcun conto la vita dei reporter afgani. E ricorda come non sia la prima volta che questo accade. Il riferimento è senz'altro alla vicenda che vide coinvolto il nostro Daniele Mastrogiacomo due anni fa. Il cronista di Repubblica venne liberato ma i talebani, che già avevano ucciso il suo autista al momento del rapimento, decapitarono il suo traduttore, Ajmal Naqshbandi che, nel momento della liberazione di Mastrogiacomo, venne trattenuto dai guerriglieri. I sequestratori avrebbero ricordato l'episodio proprio a Munadi per terrorizzarlo. L'incidente creò una forte indignazione tra i giornalisti afgani. Un caso che si ripete oggi. Il ministero dell'Informazione di Kabul ha promosso un'inchiesta sulla vicenda.
Quanto ai civili uccisi sarebbero due, secondo il governatore locale, ma anche in questo caso non è chiaro come siano morti. Un residente del distretto di Char Dara, Mohammad Nabi, ha spiegato che il raid è avvenuto in casa sua e ha raccontato alla Reuters che i rapitori avevano scelto la sua abitazione per nascondersi durante la notte: dopo l'arrivo degli elicotteri Nabi ha sentito sparare contro le pareti di casa e subito dopo i soldati ne hanno spalancato la porta sparando, “uccidendo mia cognata e portandosi via il reporter”, un racconto che non sembra coincidere esattamente con quello di Farrel.
Munadi aveva studiato in Germania ma aveva deciso di fare ritorno in Afghanistan. Voleva rivedere il suo paese e aveva scritto un articolo pubblicato sul Nyt in cui diceva che avrebbe preferito raccogliere spazzatura per le strade di Kabul piuttosto che fare, ad esempio, il cameriere in Germania. Se tutti se ne vanno, aveva scritto, è come lasciare il paese in mano ai talebani. Il raid è stato affidato a soldati britannici forse per via della nazionalità di Farrel (britannico-irlandese). Il primo ministro Gordon Brown in persona avrebbe dato luce verde.
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