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sabato 8 maggio 2010

IL PIANO DI PACE DI HAMID KARZAI

Quanto sia stata definita nel dettaglio la strategia per il futuro dell'Afghanistan che Karzai intende presentare a Obama non si sa. Quel che è certo è che settimana prossima, al sospirato incontro bilaterale di Washington, il presidente afgano andrà con un piano abbastanza dettagliato elaborato da Kabul per favorire una riconciliazione nazionale che ha già un un nome: Afghan Peace and Reintegration Program (Aprp).

La bozza del documento, che abbiamo potuto leggere, fissa il quadro di riferimento, i passi e gli obiettivi di qualcosa che Karzai ha già in mente da diversi anni ma che, finalmente, può adesso formalizzare trovando orecchie più attente tra i suoi interlocutori internazionali, convinti sino a ieri che la Nato avrebbe vinto la guerra coi talebani per dettare poi condizioni da un punto di forza. Poiché in realtà in molti lo pensano ancora e non tutti sono d'accordo a parlare col nemico in questa fase, Karzai ha davanti una strada in salita. E molti punti del suo piano, ancora ufficioso, rischiano di saltare o di essere ridimensionati.

Il documento
del presidente parte dal suo discorso di insediamento del novembre scorso, quando i magheggi del meccanismo elettorale lo rimisero sulla poltrona di capo di stato. Per la prima volta in maniera forte, Karzai aveva definito la riconciliazione una “priorità”, reiterata poi nel 2010 alla Conferenza di Londra, che ha avallato la nascita di un “trust fund”, un fondo di garanzia (160 mln di dollari ndr), per “comprare” i talebani buoni, o meglio i cosiddetti foot soldiers (la truppa), combattenti più per necessità che per vocazione o adesione ideologa. Il documento ribadisce le condizioni (i “principi chiave”) perché ai soldati in turbante sia garantito il reintegro nella società o nell'esercito nazionale: rinuncia della violenza, riconoscimento della Costituzione, ritorno a casa. In cambio il governo promette non solo un'amnistia, ma anche un pacchetto di benefici, in denaro o opportunità di lavoro. Fissa un tempo per la smobilitazione e la consegna delle armi (tre mesi) e sottolinea che l'operazione intende “offrire una mano aperta ai talebani e agli altri gruppi insurrezionalisti”, iniziativa, sta scritto nel documento, che “gode del supporto del'Onu, di Isaf/Nato, dei partner regionali e della comunità internazionale”. Affermazione su cui sarebbe lecito sollevare qualche dubbio.... segue su Lettera22

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