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domenica 10 ottobre 2010

I CONTI CON LA GUERRA E CON LA PACE

Il distretto del Gulistan è una zona impervia al confine con l'Helmand, una delle aree più conflittuali dell'Afghanistan. E' li che è avvenuta la strage dei militari italiani. Relativamente fuori dai giochi durante l'era dei talebani, la valle del Gulistan non arriva a 60mila abitanti, in maggioranza pashtun, e, militarmente, non ha mai dato grossi problemi se non sporadicamente. Ma forse adesso le cose sono cambiate.

Nella regione di Farah la pressione dei talebani non è fortissima e il comando Ovest, a guida italiana, riesce a tenere sotto controllo la situazione. Da alcuni giorni era in corso un'offensiva degli italiani nelle aree sotto il loro controllo e il Gulistan era stato prescelto per una nuova base avanzata in modo da “sigillare” il Farah che ricade sotto diretto controllo italiano. Ma e Est del Farah, al confine col distretto del Gulistan, c'è Helmand, dove i talebani dettano legge, sotto pressione da parte delle truppe britanniche della Nato a guida americana. E' la regione dove si trova l'ospedale di Emergency, a Lashkargah. La situazione lì è sempre tesa.

Claudio Gatti, un volontario dell'organizzazione di Gino Strada, ci spiega che nell'ospedale della Ong milanese da poco riaperto, il numero dei feriti è in costante aumento. Il suo racconto stride con la pace che permea l'ospedale nel centro di Kabul. E in effetti anche la capitale è tranquilla. Qualche fuoco d'artificio alla mattina, razzi sparati dalle montagne e qualche ordigno in periferia ma non molto di più. Le forze di sicurezza afgane, che hanno ormai il totale controllo della città, hanno costruito un vero e proprio anello di sicurezza che la sigilla rendendo il centro quasi impenetrabile per kamikaze e commando.
Kabul vive sospesa come in una bolla sopra la guerra che invece si è estesa a macchia d'olio, non solo nel Sud e nell'Est del Paese, ma - ma in modo sempre più preoccupante - anche nel NordEst e nel NordOvest, altra area di sorveglianza italiana. Ma a Kabul c'è persino il tempo di andare ai giardini di Babur per la scampagnata del venerdi, la domenica afgana.

In città la guerra sembra lontana anche se è presente, presentissima, nelle preoccupazioni del governo di Karzai e dei suoi alleati che, chiusi nei loro quartier generali o nel Palazzo presidenziale, stanno tirando la rete, fragile e complessa, del negoziato. Ufficialmente c'è un Consiglio superiore di pace, formato da 68 persone dal dubbio passato e sotto accusa da parte della società civile locale, dall'altra c'è tutta una filiera di contatti segreti e riunioni a porte chiuse, alcune delle quali proprio a Kabul. Ma in che direzione vada il processo di pace è difficile da dire.


La stampa americana ha rilanciato una pista saudita che avrebbe luce verde da mullah Omar, il capo storico talebano. La stampa britannica e quella araba hanno lanciato l'ipotesi di un possibile negoziato, a questo punto separato, con il gruppo della famiglia Haqqani, una filiera talebana ma abbastanza indipendente da mullah Omar e che controlla l'Est dell'Afghanistan. Poi ci sono stati contatti anche ufficiali con Hekmatyar, ex signore della guerra che controlla parte dell'Est e del Nord. A Kabul invece, nei giorni scorsi e continuando a cambiare albergo, si è fatta viva una delegazione del Pakistan il Paese che vorrebbe guidare il negoziato per essere sicuro di controllarlo.

Nella strada si vendono pannocchie rosolate e un numero crescente di bambini di strada (sarebbero 4mila) fa la questua. All'ombra dei nuovi palazzi di specchi e lustrini che raccontano il boom edilizio di questa capitale della guerra dove si aggira lo spettro della povertà e del dolore ma anche quello del denaro facile.

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