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venerdì 15 giugno 2012

L'AFGHANISTAN E I SUOI VICINI


Che l'Afghanistan sia il “cuore dell'Asia”, come recita lo slogan del vertice “Heart of Asia Ministerial Conference in Kabul” che si è aperta ieri nella capitale afgana, è fuori di dubbio. Ma che Kabul sia davvero nei cuori dei ministri che sono venuti sin qui, soprattutto dei suoi vicini pachistani e iraniani, questo resta da vedersi. E' il commento che fa a caldo un funzionario del ministero degli Esteri afgano che, come molti colleghi ha preparato quella che è comunque una bella vetrina lastricata, come che sia, di buone intenzioni: “Il fatto è che in questi summit si dicono un mucchio di belle parole su pace, sviluppo, stabilità, ma quando i nostri vicini tornano a Teheran o a Islamabad, quelle parole si perdono nel vento”. Insomma molte speranze coniugate a un certo cinismo, che sono un po' la cifra che si respira nella capitale da qualche tempo a questa parte.

La Conferenza è blindata e diventa praticamente impossibile avvicinare qualcuno. I giornalisti (pochi) sono relegato in una sala con Tv e seguono distrattamente i lavori che non hanno l'aura delle grandi kermesse. Nondimeno, per Karzai l'appuntamento è importante: prima di tutto tiene viva la sempre più scarsa attenzione sul suo Paese che ha sempre più bisogno di pizzicotti per far sapere che “ancora ci siamo”. La seconda, è che per Karzai la statura internazionale dell'Afghanistan, il suo status diplomatico (è appena stato eletto un afgano a vicepresidente della prossima assemblea dell'Onu) e la risonanza che Kabul si è guadagnata, sono meriti che il presidente può legittimamente ascriversi. Sarà per il suo buon inglese, i modi raffinati e l'attenzione maniacale al guardaroba, Karzai gode tutto sommato maggior buona stampa all'estero che non nel suo Paese: “Se andasse in giro in modo riconoscibile – mi dice una signora durante una conversazione informale – non riuscirebbe a fare dieci metri: la gente lo scannerebbe”. Anche l'Afghanistan ha i suoi problemi di legittimazione politica e la corruzione ai vertici non aiuta. Né le lotte intestine in parlamento (ora concentrate a far fuori l'ex ministro e signore della guerra generale Dostum, alleato del fratello di Massud, il “leone del Panjshir), o le derive etniche che ogni tanto di riaffacciano (il “complotto hazara” è uno dei rumor più gettonati).

La Conferenza che ha messo assieme tutti i paesi centroasitici - assieme a colossi come Cina e India, Egitto e Arabia e gli occidentali nel ruolo di osservatori - è un'idea turca, tanto che questo tentativo di forum per la stabilità e la cooperazione è stato battezzato “Processo di Istanbul” e, da qualcuno, “Helsinki asiatica”, alludendo al processo che portò nel 1975 alla Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa. Per ora parole ma, per i più ottimisti, piccoli passi importanti. “Ogni conferenza – ci dice un funzionario di Unama, la missione Onu a Kabul – porta un piccolo granello. Il problema vero è che dopo questa e la prossima di Tokyo, in luglio, non ne sono previste più con l'Afghanistan al centro”. E le conferenze sono lo specchio dell'attenzione verso questo o quel Paese, questo o quel tema.

Tra gli ottimisti c'è anche Staffan De Mistura, già a capo di Unama e adesso sottosegretario del governo Monti. Non solo De Mistura pensa che questa Conferenza sia una buona cosa ma immagina Tokyo come un luogo di opportunità. Una di queste riguarda la società civile. Contrariamente alle abitudini dei suoi predecessori, De Mistura, forse per via delle sue passate frequentazioni afgane, ha trovato il tempo di ricevere alcuni delegati della società civile, dedicando loro il tempo che di solito si riserva a personaggi istituzionali e non a questo genere di persone a volte persino ignorate. Sfortunatamente l'Italia non partecipa al Civil Society Support Group (forse ora cambierà attitudine) ma De Mistura ha ascoltato i suggerimenti e le preoccupazioni dei delegati chiarendo che non se le terrà per se. Gli invitati gli hanno anche espresso l'appoggio alla cosiddetta “Iniziativa 30%” avanzata da Tavola della pace, “Afgana” e Rete Disarmo, ossia parte della società civile italiana. Significa in sostanza, che per ogni euro risparmiato col ritiro dei soldati, 30 centesimi dovrebbero tornare, in opere civili, in Afghanistan. Tra queste c'è la “Casa della società civile”, una sorta di struttura di servizio per l'associazionismo locale ma anche il segno tangibile di una cittadinanza attiva e dunque il riconoscimento di un ruolo politico della società civile organizzata..


foto di Ahmad Massoud

1 commento:

Salvatore ha detto...

Qlxchange Ha detto: interessante