Il negoziato vero, quello che avrebbe dovuto portare all'apertura di un ufficio dei talebani a Doha, è in netto stallo e, per ora, tutti sembrano aver altro cui pensare che non a come stia andando una trattativa attualmente molto virtuale.

Ma se la cifra verrà o meno confermata e soprattutto quanto lungo sarà l'impegno (per adesso si rumoreggia di un totale di circa 15 miliardi ma non è chiaro per quanti anni) si saprà ufficialmente domenica, dopo la presentazione del piano in 22 punti delle “priorità nazionali” scritto da Kabul e dopo che si sarà più o meno articolata la cornice di garanzia (ad esempio la costituzione di un fondo fiduciario per la ricostruzione e lo sviluppo affidato alla BM) sia per bypassare l'endemica corruzione che si mangia parte dei proventi, sia per capire come, in che modo e con quale trasparenza il denaro internazionale sarà speso: “Mutua responsabilità” è la parola magica del vertice: ognuno insomma si prenda le sue.
Chi sicuramente la responsabilità se l'è presa è la società civile afgana, le centinaia di organizzazioni che, su invito del governo giapponese, hanno mandato a Tokyo oltre trenta rappresentanti eletti di cui due con diritto di parola alla plenaria del giorno 8. Una vera novità, fortemente voluta dal Sol Levante e per la quale non son state da meno l'Italia (qui con il sottosegretario Staffan De Mistura e l'inviato speciale Francesco Talò) e la Svezia, gli unici due Paesi che hanno incluso nelle delegazioni ufficiali anche due rappresentanti delle rispettive società civili. Molti altri sono arrivati per conto loro – come i britannici di Baag, la rete delle Ong che lavorano in Afghanistan - per non parlare delle migliaia di twittate che si inseguono in rete e che, per tutto il giorno, hanno accompagnato la Conferenza della società civile afgana (che dura anche oggi), per la prima volta veramente con status di protagonista e non di semplice comparsa.
La vera responsabilità sulla trasparenza, il sistema legale, l'accesso all'informazione, per ora se la sono assunta loro. Anche se, per chiosare Samira Hamidi di Afghan Women's Network, non hanno nessuna intenzione di tornare da Tokyo “a mani vuote”.
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