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venerdì 15 marzo 2013

LA LEZIONE DI ENEO DOMIZIO ULPIANO

La Corte suprema intima all'ambasciatore italiano in India di non lasciare il Paese. E la diplomazia indiana ricorda a Terzi Eneo Domizio Ulpiano, il giurista romano cui si deve un caposaldo delle regole internazionali: pacta sunt servanda

In una vicenda paradossale, in cui la decisione di non far rientrare i due marò italiani in India ha violato un accordo bilaterale, un altro paradosso si è aggiunto ieri a un caso che sta mettendo a dura prova i rapporti tra Roma e Delhi. La Corte suprema indiana ha chiesto al nostro ambasciatore Daniele Mancini di non lasciare il Paese proprio mentre l'opposizione ne aveva chiesto la testa e l'espulsione, un atto grave che per ora non sembra essere nelle corde di Delhi.



Ma chiedergli di non lasciare il Pese e di presentarsi entro lunedì prossimo in tribunale -o di recapitare una memoria – è anche un modo indiretto per far sapere agli italiani che la fiducia è arrivata al lumicino. E che Delhi teme che Mancini possa partire per non tornare più in India. Su di lui, al momento l'unico capro espiatorio di una vicenda che ogni giorno si fa più tesa e complessa nei rapporti con l'Unione che studia ritorsioni, pende per la verità anche la richiesta del ministero degli Interni affinché l'ambasciatore non si possa avvalere dell'immunità diplomatica (cui però il dicastero indiano degli Esteri ha opposto un rifiuto anche se ha ufficialmente appoggiato il pronunciamento della Corte intimando al diplomatico di non lasciare il Paese). Già minacciato di espulsione per le insistenze del Bjp (nazionalisti), Mancini aveva detto mercoledì scorso che non avrebbe lasciato l'India se non quando considerato persona non grata (misura estrema che di fatto significa la rottura delle relazione diplomatiche) mentre adesso è la Corte a chiedergli, anzi ordinargli, di non lasciare il Paese. Una decisione presa, dicono fonti indiane, subito dopo che il Janata Party ha chiesto un provvedimento contro l'ambasciatore per oltraggio alla Corte. Il ministero degli Esteri indiano intanto ha anche convocato l'ambasciatore dell'Unione europea Joao Cravino per metterlo al corrente della posizione dell'Unione anche se per ora la Ue tace sulle schermaglie tra Delhi e Roma.

Mentre Terzi ha ribadito ieri la posizione italiana, definita «solida» e condivisa da «molti importanti partner della comunità internazionale sul fatto che agiamo nel piano rispetto dell'ordinamento giuridico internazionale e del diritto internazionale, pattizio e consuetudinario» gli indiani hanno risposto per le rime e il portavoce degli Esteri, Syed Akbaruddin ha ricordato che «il primo passo, in termini di diritto internazionale pubblico è che gli accordi devono essere rispettati», pacta sunt servanda, come recita uno dei capisaldi della diplomazia internazionale, che si rifà – altro paradosso – proprio al noto aforisma del giurista romano Eneo Domizio Ulpiano.

A molti indiani la mossa italiana appare comunque come una manovra di pura politica interna. Non sono sfuggite le simpatie di Terzi per il centrodestra né la campagna forsennata di giornali, gruppi extraparlamentari e formazioni politiche (Fratelli d'Italia). Del resto la sfida di Roma sembra godere tra gli italiani di ampio consenso (7 su 10). Tutta gente che forse non intende chiedere il visto per un viaggio nel subcontinente.

Il testo con cui l'India ha reagito alla decisione italiana dell'11 marzo

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