Tariq
Fatemi, Special Assistant del primo ministro pachistano Nawaz Sharif,
non è un consulente qualsiasi dell'ufficio del premier. Quest'uomo
di settant'anni, in pensione dal ministero degli Esteri con lo
status di ministro di Stato, ha una lunga carriera diplomatica alle
spalle. Ha avuto incarichi di rango a Washington, Mosca, Pechino e
Bruxelles, di inviato all'Onu e ai negoziati di Ginevra
sull'Afghanistan. Una volta in pensione ha fatto l'analista e
l'opinionista. Quando parla val la pena di ascoltarlo. La stampa
pachistana racconta oggi le linee di politica estera che il Pakistan
vuole seguire e che Fatemi ha incarnato in una conferenza pubblica
che, al di là delle classiche enunciazioni di fratellanza universale
care al linguaggio diplomatico, dice alcune cose interessanti.
Per
il Pakistan il rapporto con Pechino resta prioritario. Com'è noto la
Cina sta finanziando il porto di Gwadar, un grande centro affacciato
sul mare nel deserto baluci che dovrebbe diventare un polo
commerciale strategico. Secondo Fatemi sarà pronto in 5 anni: avrà
un aeroporto, due centrali per l'energia, un ospedale, un'università
e un collegamento navale con Karachi. Sarà la punta di diamante di
una strategia diplomatica che Nawaz vuole soprattutto economica. A
chi teme che la Cina guardi troppo all'India e all'Afghanistan
dimenticandosi del Pakistan, Fatemi ha ricordato di aver visitato
Pechino 4 volte in 8 mesi e che è in programma un corridoio
economico diretto con l'Impero di mezzo e diversi progetti per la
produzione di energia in Pakistan. I rapporti, dice, sono sani e
saldi. Questo è stato il punto nodale del suo intervento assieme al
concetto di un cambio di strategia diplomatica, più focalizzata
sull'economia. Un pallino da sempre di Nawaz.
Se è
dunque abbastanza chiaro il fatto che Islamabad continua a puntare su
Pechino, su India, Afghanistan e Stati Uniti, Fatemi non ha detto
nulla di più di quanto già si sa. In realtà in Pakistan si
preoccupano -e parecchio – di quanto sta avvenendo in India. Il Dawn di oggi riposta le parole di Pravin
Togadia, a capo del Vishwa Hindu Parishad (Vhp), secondo il quale,
nei luoghi dove gli indù sono maggioranza, bisogna guardarsi da
vendere le proprietà ai musulmani. Il Whp non
è un movimento particolarmente esteso, ancorché sia pericoloso e
violento nei fatti e nelle parole, ma fa pur sempre parte del Sangh
Parivar , la “famiglia” delle
organizzazioni nazionaliste indù in cui spicca, questo si potente e
influente, il Bharatiya
Janata Party che ha un candidato a
premier, Narendra Modi, in pole position per essere il prossimo
inquilino di RaisinaHill. La memoria va alla
stagione 1998-2004 quando era premier Atal Bihari Vajpayee del Bjp:
ci furono due situazioni di forte confronto tra i due Paesi con
ammassamento di truppe al confine (dopo i test nucleari del 1998 e
dopo l'attacco terroristico al parlamento indiano nel 2001), un
conflitto (la guerra di Kargil durata 3 mesi nel '99) e una sola
misura di raffreddamento delle relazioni (il famoso autobusLahore-Delhi, 1999, sospeso nel 2001 e riattivato nel 2003). Col
Congresso al governo, le relazioni India e Pakistan non hanno fatto
grandi passi avanti (una sorta di regime di guerra fredda
subcontinentale) ma nemmeno si è arrivati sull'orlo di un conflitto
che, allora, aveva fatto crescere il timore di un possibile uso di
armi nucleari.
1 commento:
Molto interessante il dossier sul potere che si trova nell'ultimo numero di Focus: lo consiglio a tutti.
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