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martedì 22 aprile 2014

Dove va la politica estera pachistana

Tariq Fatemi, Special Assistant del primo ministro pachistano Nawaz Sharif, non è un consulente qualsiasi dell'ufficio del premier. Quest'uomo di settant'anni, in pensione dal ministero degli Esteri con lo status di ministro di Stato, ha una lunga carriera diplomatica alle spalle. Ha avuto incarichi di rango a Washington, Mosca, Pechino e Bruxelles, di inviato all'Onu e ai negoziati di Ginevra sull'Afghanistan. Una volta in pensione ha fatto l'analista e l'opinionista. Quando parla val la pena di ascoltarlo. La stampa pachistana racconta oggi le linee di politica estera che il Pakistan vuole seguire e che Fatemi ha incarnato in una conferenza pubblica che, al di là delle classiche enunciazioni di fratellanza universale care al linguaggio diplomatico, dice alcune cose interessanti.

Per il Pakistan il rapporto con Pechino resta prioritario. Com'è noto la Cina sta finanziando il porto di Gwadar, un grande centro affacciato sul mare nel deserto baluci che dovrebbe diventare un polo commerciale strategico. Secondo Fatemi sarà pronto in 5 anni: avrà un aeroporto, due centrali per l'energia, un ospedale, un'università e un collegamento navale con Karachi. Sarà la punta di diamante di una strategia diplomatica che Nawaz vuole soprattutto economica. A chi teme che la Cina guardi troppo all'India e all'Afghanistan dimenticandosi del Pakistan, Fatemi ha ricordato di aver visitato Pechino 4 volte in 8 mesi e che è in programma un corridoio economico diretto con l'Impero di mezzo e diversi progetti per la produzione di energia in Pakistan. I rapporti, dice, sono sani e saldi. Questo è stato il punto nodale del suo intervento assieme al concetto di un cambio di strategia diplomatica, più focalizzata sull'economia. Un pallino da sempre di Nawaz.

Se è dunque abbastanza chiaro il fatto che Islamabad continua a puntare su Pechino, su India, Afghanistan e Stati Uniti, Fatemi non ha detto nulla di più di quanto già si sa. In realtà in Pakistan si preoccupano -e parecchio – di quanto sta avvenendo in India. Il Dawn di oggi riposta le parole di Pravin Togadia, a capo del Vishwa Hindu Parishad (Vhp), secondo il quale, nei luoghi dove gli indù sono maggioranza, bisogna guardarsi da vendere le proprietà ai musulmani. Il Whp non è un movimento particolarmente esteso, ancorché sia pericoloso e violento nei fatti e nelle parole, ma fa pur sempre parte del Sangh Parivar , la “famiglia” delle organizzazioni nazionaliste indù in cui spicca, questo si potente e influente, il Bharatiya Janata Party che ha un candidato a premier, Narendra Modi, in pole position per essere il prossimo inquilino di RaisinaHill. La memoria va alla stagione 1998-2004 quando era premier Atal Bihari Vajpayee del Bjp: ci furono due situazioni di forte confronto tra i due Paesi con ammassamento di truppe al confine (dopo i test nucleari del 1998 e dopo l'attacco terroristico al parlamento indiano nel 2001), un conflitto (la guerra di Kargil durata 3 mesi nel '99) e una sola misura di raffreddamento delle relazioni (il famoso autobusLahore-Delhi, 1999, sospeso nel 2001 e riattivato nel 2003). Col Congresso al governo, le relazioni India e Pakistan non hanno fatto grandi passi avanti (una sorta di regime di guerra fredda subcontinentale) ma nemmeno si è arrivati sull'orlo di un conflitto che, allora, aveva fatto crescere il timore di un possibile uso di armi nucleari.


1 commento:

bla78 ha detto...

Molto interessante il dossier sul potere che si trova nell'ultimo numero di Focus: lo consiglio a tutti.