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martedì 10 marzo 2020

Bagan nel pallone

Non sono di animo molto sportivo, sicuramente una pecca in tempi di cultura del fisico e di salutismo, ma è difficile contravvenire alla propria natura. Dunque mai avrei pensato di avventurarmi su una mongolfiera per rimirare dall’alto la maestosa eppur semplicissima bellezza di Bagan, la città dei centomila templi di cui 3595 ancora restano: intatti o sotto restauro (sembra fossero - tra stupa, templi, biblioteche, iscrizioni, monumenti minori – oltre 4mila). Ma se l’occasione fa l’uomo ladro, anche di un pigro può fare uno sportivo. Devo dunque a Bart D’hooge, un belga trapiantato in Francia che passa in Myanmar un discreto numero di mesi da 12 anni a questa parte, se ho fatto l’esperimento. Non è difficile stuzzicare un reporter/geografo, e cosa c’è di più stuzzicante per un geografo che vedere dall’alto una fetta di territorio pianeggiante la cui visione orizzontale non rende che una parte infinitesimale del tutto?

Barth è il capo pilota della squadra di aviatori di “Balloos Over Bagan”, una società che tutte le
mattine, se il vento non fa scherzi, alza in volo la sua flottiglia di mongolfiere. Tra i piloti (c’è anche il piemontese Paolo Oggioni) mi tocca in sorte Abraham Folque, un aviatore catalano che sa il fatto suo. Di per sé la partenza (che riproduco a lato con qualche scatto amatoriale) è già una simpatica avventura. Ma il resto, nel silenzio ovattato del volo leggero del pallone, è ovviamente la vera sorpresa.

Siete sospesi sulla bellezza a qualche centinaio di metri. Ne osservate i particolari, le recinzioni rettangolari, l’estensione capillare e la disposizione dispersa su uno spazio immenso e secco come il deserto nonostante la presenza del fiume, l’Irrawaddy, uno dei maggiori del mondo.


Alla fine del 1200, gli emissari del Gran Khan che avevano visitato Pagan (Bagan) gli raccontarono - scrive Marco Polo ne Il Milione – di come fossero rimasti colpiti da quel regno: “...mandarono a dire al Gran Cane la bellezza di queste torri, e la ricchezza e ‘l modo come furono fatte, e ov’elle erano e se voleva che le disfacessero e mandassongli l’oro e l’ariento. E lo Gran Cane, udendo che quello re l’avea fatte per la sua anima e per ricordanza di lui, mandò comandando che non fossero guaste, anzi vi stessono per coli che l’avea fatte fare, cioè il re che fu di quella terra”.

“Ma la storia del regno di Pagan – commentava qualche secolo dopo il geografo Corna Pellegini* - era comunque finita, perché la cottura dei mattoni necessari alla costruzione di quelle migliaia di templi aveva distrutto il patrimonio boschivo circostante, modificando profondamente il microclima e il paesaggio della regione: da foresta pluviale divenne progressivamente savana, come si manifesta tuttora”.


Questo lo sapevo, ma vederlo (e dall’alto) è ben altra cosa. Naturalmente la stagione secca fa in questo mese di marzo la sua parte, ma se non sono state forsennatamente disboscate, le rive dei fiumi conservano sempre un’ecosistema che dal fiume si alimenta. Pur che ci sia una qualche forma vegetale. Non così a Bagan. Anche gli animali sono scomparsi – se si escludono scoiattoli, serpenti e poche altre varietà di animaletti che sopravvivono forse anche grazie alla presenza umana – , eccetto quelli domestici (vacche indiane, capre, galline) e gli immancabili corvi che sembrano aver spazzato via i piccoli uccelli, come nelle nostre campagne, sempre più  rari.


Ricostruire l’antico ecosistema di allora è ovviamente impossibile. Inoltre la natura si mangerebbe – se appena potesse – i manufatti umani bellissimi (11mo-13mo secolo) che fanno di Bagan l’unico sito birmano – con Pyu (2014) – nella lista Unesco dei World Heritage Sites (da luglio 2019). L’area di rispetto stabilita dall’Unesco è di 10.000 kmq ma l’area dei templi propriamente detta è “solo” meno della metà. Dalla mongolfiera non potete abbracciarli tutti ma buona parte si.



Giacomo Corna Pellegini è stato il mio relatore alla tesi sull’agricoltura delle Molucche ed è stato per me un maestro e un amico. Sia questa, sia la citazione da Il Milione sono tratte da “La geografia di Marco Polo, oggi”, un suo scritto che si può scaricare qui. Non so se Giacomo abbia usato la mongolfiera, ma gli sarebbe piaciuto






N. B. C'è sempre qualche amico degli amici che è riuscito ad avere il permesso di rovinare questa settima meraviglia. Anche questo il pallone consente di vedere...





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