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venerdì 20 marzo 2020

Nel Paese degli "Zero casi"

Le autorità del Myanmar non hanno preso il Covid-19 sotto gamba. Le misure non sono draconiane ma il Paese - che tra i primi ha chiuso le frontiere con la Cina già in gennaio - sembra agire con più intelligenza di certi governi europei. Ha cancellato il capodanno d'aprile, ricorrenza tradizionale che però quest'anno non si farà e molte aziende lavorano già da remoto. Che sarebbe successo da noi se si fosse abolito il Natale? Quel che conforta l'italiano in Asia, che dall'Asia al momento non può tornare (il mio biglietto è stato cancellato), è constatare che in Europa ci stiamo comportando assai meglio di tanti altri Paesi che di solito ci bagnano il naso. Di fronte a un Johnson o a un Macron, lasciatemelo dire, da qui il premier Conte sembra un gigante. Comunque non è dell'Italia che volevo raccontare.

Raccontare vorrei piuttosto dell’unico Paese dell’Asia meridionale e sud-sudorientale che – con Laos e Timor Est – può vantare assenza di Covid-19. L’ansia della sua apparizione si insinua però sottile come il virus e l’apparente salvaguardia dal male del secolo da oltre 200mila ammalati sembra a qualche maligno osservatore dovuta soprattutto ai pochissimi test eseguiti – un paio di centinaia secondo l'Oms – in una situazione dove l’esplosione del virus farebbe collassare la fragile struttura sanitaria locale. I birmani son oltre 50 milioni e 200 test son davvero pochi.

L’ambasciata britannica ha scelto Facebook due giorni per consigliare ai sudditi di Sua Maestà di lasciare il Myanmar il più rapidamente possibile per quanto in molti si chiedano se non sia meglio restare che entrare nel calderone malamente mescolato da Boris Johnson. C'è stato un assalto alle biglietterie in un clima dove ogni giorno si cancellano voli e si chiudono frontiere. Ma non è l'unica sede diplomatica a fare pressione. Pare che a breve i test saranno almeno tremila ma l'invito è a tornare a casa: "Se succede qualcosa qui - aggiunge un diplomatico - il sistema sanitario non riuscirà a farcela". Indiscrezioni dicono che i ventilatori del Myanmar non arrivino a cento. E aggiungono che chi si deve curare il Covid-19 può andare solo in strutture pubbliche. Mary, che gestisce un locale a Bagan da anni, allarga le braccia: "Sai che ti dico, sarei per la chiusura totale di tutto per un mese e non ci si pensi più". Non è detto che non ci si arrivi.

Del resto, un nuovo monito dell’Oms ha appena strigliato gli undici Paesi in cui viene divisa la regione dall'organismo dell'Onu: molti hanno pochi casi mentre altri sono in difficoltà per l’arrivo – tardivo – del virus o per il risorgere dei contagi anche in nazioni che erano riuscite a contenerlo.
Poonam Khetrapal Singh, responsabile per l’Oms della regione, ha sottolineato che sono “confermati più gruppi di trasmissione di virus” e che alcuni Paesi hanno già adottato “misure aggressive” ma che si deve fare di più: “rilevare, testare, trattare, isolare e tracciare i contatti”, avvertendo che “praticare il distanziamento sociale non sarà mai enfatizzato abbastanza” e che questo solo “ha il potenziale per ridurre sostanzialmente la trasmissione”.

Il nuovo campanello d’allarme sembra collegato soprattutto al caso malese: quando un 34enne che aveva partecipato a un evento religioso a Kuala Lumpur è morto, i riflettori si sono accesi sugli effetti di una quattro giorni di preghiere e sermoni svoltasi tra il 27 febbraio e il 1 marzo nel complesso della moschea di Sri Petaling, base in Malaysia della Tablighi Jama’at, associazione per la diffusione della fede e movimento missionario purista e ultraortodosso. All’evento avrebbero partecipato 16mila persone, tra cui 1.500 stranieri, e dei circa 900 casi del Paese (i numeri sono in ascesa), quasi due terzi vengono collegati all’incontro anche se non si sa chi sia stato il primo a diffondere il contagio. Il problema è che i fedeli venivano da una decina di Paesi: Canada, Nigeria, India, dalla stessa Malaysia. Ma anche da Cina e Corea. Gli ultraimbecilli han pensato bene di far la stessa cosa in questi giorni in Indonesia: migliaia di pellegrini per fortuna bloccati ieri dalle autorità indonesiane, fin troppo lasche mentre il virus inizia a cavalcare anche nell'arcipelago e Jokowi è sotto schiaffo.

Molti Paesi hanno già imposto misure draconiane e la Malaysia – come le Filippine che hanno sigillato l’arcipelago o lo Sri lanka dove si è verificato uno dei primissimi casi fuori dalla Cina – hanno imposto severi controlli - anche se tardivi - alle frontiere. Sembra però non bastare perché Paesi che sembravano controllare o rallentare i contagi (Corea del Sud , Singapore , Taiwan, Hong Kong) vedono una risorgenza del virus. Le polemiche investono anche l’India dove le autorità non hanno intenzione di estendere i test come fa la maggior parte delle nazioni colpite: l’India si limiterebbe a meno di un centinaio al giorno pur avendo la capacità di farne 8mila. Secondo Associated Press, solo 11.500 test sarebbero stati condotti in un Paese che ospita quasi un miliardo e mezzo di persone.

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