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mercoledì 13 agosto 2014

Perché non dare le armi ai curdi

Dare armi ai peshmerga curdi è una delle opzioni al vaglio dei ministri degli Esteri dell'Unione. I favorevoli sono parecchi e in prima fila c'è anche l'Italia. A Pierferdinando Casini il merito di averlo chiesto per primo in un'intervista. Ma io non credo sia una buona idea. Armare le persone, anche quando sono in pericolo, non è una buona soluzione. Se un vostro amico fosse in balia di una banda di assassini che hanno circondato casa sua, gli paracadutereste un lanciafiamme o chiamereste la polizia?

La polizia che non c'è

Qualcuno dirà che in questo caso non c'è una polizia da chiamare e questo è un punto che esamineremo. Tal altro dirà che questa è un'emergenza ma qui la risposta è facile. Le emergenze di questo tipo sono continue. C'è appena stata una guerra a Gaza, è in corso un conflitto in Siria e in Libia e così via, la lista è lunga. Dunque bisogna lasciar morire yazidi, cristiani e sunniti nonché curdi e peshmerga? No, certo, vanno sostenuti. Io credo persino con una soluzione militare, ma non con la foglia di fico delle armi che è il modo più semplice di sbarazzarsi del problema dando lavoro a Finmeccanica. E allora?

domenica 6 luglio 2014

La lezione di al-Baghdadi e il vuoto intellettuale riempito dai militanti

L'uscita pubblica con cui ieri in un video Abu Bakr al-Baghdadi, la cui identità è al vaglio dei servizi iracheni, ha spiegato a credenti e infedeli le ragioni del califfato, non proietta la sua immagine e il suo messaggio soltanto nella mezzaluna fertile o in medio oriente. Come notava ieri a cena uno studioso, la proietta anche nelle nostre periferie e, naturalmente, nel resto del mondo musulmano. Un articolo di Anwar Iqbal, ospitato sul quotidiano progressista pachistano Dawn di cui è il corrispondente da Washington, tenta oggi un'analisi a partire dal fatto che, scrive Iqbal, "il volto più riconoscibile dell'islam politico di oggi non è né un mullah, né uno studioso di religione. Si tratta di un militante". A dire cioè che non è un dotto, uno studioso, un intellettuale a rappresentare le ragioni dell'islam, ma un uomo col fucile in mano.



Nel video qui sopra al-Baghdadi e il suo discorso ieri a Mosul (sottotitolato in inglese)



Il giornalista Anwar Iqbal. Nel suo articolo
cerca di spiegare lo strapotere dei militanti
e il vuoto culturale che li favorisce
Iqbal sostiene però che, come dimostra una ricerca del Pew Research Center, la stragrande maggioranza dei musulmani - oltre il 70% - rifiuta l'estremismo.  Ma "perché allora - si chiede - è  il militante il simbolo dell'Islam in tutto il mondo"? "La risposta - dice Iqbal - è semplice: i metodi che usano - attentati suicidi, omicidi di massa, esecuzioni e dirottamento - attirano l'attenzione. E poiché tutto ciò è fatto in nome dell'islam, i militanti sono visti come rappresentanti della fede" anche se 9 musulmani su dieci considerano l'attentato suicida haram, blasfemo.  Il problema, dice l'articolo, sta nell'incapacità dell'islam politico (che non è per forza violento o militante ndr) di  fornire una base di discussione intellettuale per i musulmani, cosa che permette così a questi gruppi violenti di occupare il "palco centrale" nel mondo islamico. In sostanza un deficit culturale e teoretico per cui "...la mancanza di una base intellettuale ha creato un vuoto nel mondo islamico che estremisti come talebani e al Qaeda cercano di riempire. Ma questi gruppi scelgono la violenza, e non gli argomenti intellettuali, per diffondere il loro messaggio". Iqbal infine analizza anche altri elementi collaterali ma a suo dire chiave: la guerra afgana, coi russi prima e gli americani poi, che ha offerto terreno di pratica politico religiosa "ma anche uno stipendio", il flusso enorme di denaro che ha invaso vaste aree, il cambiamento del ruolo sociale del religioso in Pakistan, il ruolo delle madrase e così via: da leggere.