Kabul - Ray-Ban a specchio e colletto esagerato sulla camicia candida, bianca, come la "Corolla" con i sedili pavimentati da una finta pelliccia. Pantaloni a zampa di elefante e scarpe lucide a punta. Un paio di cellulari. Lo sguardo da venticinquenne scafato. Non fosse per tutto questo svolazzare intorno di salwar kamiz, volteggiar di turbanti e lunghe barbe a incorniciare tratti indoeuropei anziché i volti indigeni dell'altopiano, sembrerebbe di essere nella zona Rosa di Bogotà, calle 82, o al barrio La Perseverancia dietro alla Plaza de Toros, dove i ragazzi di vita colombiani vivono la loro stagione da pandilla di quartiere o il loro prossimo futuro da killer professionisti. Ma qui siamo a Kabul, a Jodi Maiwand, al Parco di Shar-e Naw o nei dintorni della grande moschea, a ridosso del municipio della capitale, che i sauditi hanno voluto costruire e che è ormai giunta alle battute finali. E se i grandi centri commerciali, sorti come funghi in questi sei anni di guerra, assomigliano assai di più ai loro confratelli edilizi di Abu Dhabi che non al Centro comercial Calle Real della Candelaria, l'odore del narcodollaro qui, come a Bogotà, sembra trasudare tra questi almacen che vendono Rolex d'oro e telefonini di ultima generazione con la sola differenza che a Kabul si chiamano ancora bazar....
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