Amici nemici. Nella foto dell'agenzia Pajhwok i due contendenti si stringono la mano |
Tanto per cominciare, per trovare l'accordo le parti hanno avuto bisogno che il segretario di Stato americano Kerry intervenisse di persona. Poi, di comune accordo, hanno chiesto aiuto ad Isaf che si occuperà (con l'esercito afgano) di portare tutte le schede dalle province a Kabul. In terzo luogo c'è anche un accordo perché nasca un governo di unità nazionale benché sotto l'egida del vincitore. Non ultimo, il passaggio di poteri che doveva avvenire il 2 agosto viene rimandato (il male minore).
Come si vede, in buona sostanza, la faccia è salva ma il risultato dice che il nuovo governo nasce figlio di una mediazione straniera in barba alla transizione che si voleva compiuta. Il nuovo governo nasce con benedizione americana e bacio finale della Nato. Peggio non poteva andare. Nasce infine con una mediazione che fa carta straccia della scelta elettorale se è vero che Abdullah ha contrattato di poter sedere quasi a pari merito col probabile vincitore, Ashraf Ghani. Non è solo una questione di facciata o orgoglio nazionale: una fine così prelude a una difficoltà nel negoziato coi talebani a cui appare evidente la continuità con l'epoca Karzai quando il presidente disponeva a a Kabul quel che si decideva a Washington e Bruxelles.
Meglio di nulla, ovviamente, ma sarà bene evitare la retorica. Queste elezioni son una mezza vittoria (in tutti i sensi) e uno schiaffo alle regole della democrazia rappresentativa. Si, di dirà, ma le elezioni erano truccate. Vero anche questo. Ecco perché la vittoria di oggi è ancora di più una sconfitta.
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