Comprensibilmente
attenta alla strage in corso a Gaza, dove ieri sera il numero dei
morti oltrepassava la cifra di 200, stampa e quindi opinione
pubblica hanno dedicato poca attenzione a un'altra strage che, in un
colpo solo, ha fatto la metà delle vittime. Sono gli 89 civili uccisi (una cinquantina i feriti) nell'esplosione di un camion carico
di tritolo e del suo autista suicida che, nelle stesse ore, si faceva
saltare in una zona di mercato del distretto di Argon (Urgun), nella regione
orientale del Paktika in Afghanistan, a cinquanta chilometri dal confine col Pakistan. La strage non ha rivendicatori
(i talebani afgani hanno anzi preso le distanze) e l'indice è
puntato sulla solita Rete Haqqani, il gruppo terrorista filotalebano
e radicale che di solito si incolpa delle stragi più efferate quando
non si sa bene a chi dare la colpa.
Incolpare
gli Haqqani è un po' come accusare il Pakistan, o meglio i suoi
servizi segreti o parte di loro, che per anni hanno banchettato col
gruppo radicale nato durante l'occupazione sovietica e poi diventato
una mina vagante del mondo stesso dei talebani e forse anche dei
servizi. Il fatto è che forse, nella strage di Argon, il Pakistan
c'entra davvero. Non direttamente ma per via degli effetti
incontrollabili della guerra senza quartiere che, abbastanza
sorprendentemente, Islamabad ha deciso di condurre in Waziristan
contro talebani (pachistani) e gruppi affiliati (stranieri di varia
provenienza tra cui anche gli afgani della rete Haqqani).
Di
questa guerra nascosta, che ha già prodotto oltre mezzo milione di sfollati molti dei quali proprio nelle aree oltre confine, son stati fatti due giorni fa, con una certa soddisfazione,
i numeri. Secondo il portavoce dei militari del Pakistan, generale
Asim Bajwa, l'operazione Zarb-e-Azb sta dando i suoi frutti e si
fermerà solo quando«santuari
e nascondigli in Nord Waziristan non saranno stati distrutti».
Secondo Asim, finora circa 447 terroristi sono stati uccisi e 88
nascondigli distrutti contro una perdita di 26 soldati nell'operativo
su vasta scala iniziato ormai un mese fa. Asim ha anche spiegato che a
Mir Ali le operazione di terra sono ormai iniziate
mentre l'80% dell'area di Miranshah (capitale del Nord Waziristan)
è stato ripulito.
Il
generale Asim non ha menzionato né vittime civili né la condizione
degli sfollati, buona parte dei quali ha cercato rifugio in
Afghanistan dove, con ogni probabilità, si è trasferita anche parte
della guerra attraverso quella frontiera porosa dove passano capre e fucili,
profughi e spalloni. Distratte dalla strage di Gaza, o forse
generalmente distratte sull'argomento, nemmeno le cancellerie dei
Paesi che hanno sempre il ditino alzato sui diritti umani hanno
chiesto conto. In fondo, questa guerra tardiva e che certamente
aiuta a mantenere vivo l'incendio nella prateria asiatica, non
interessa quasi a nessuno o quasi (gli americani continuano a utilizzare droni nella zona). Fatti salvi quei 600mila profughi e un
numero di vittime cui si sono appena aggiunte le 89 afgane di
Paktika.
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