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venerdì 23 gennaio 2015

Non si uccidono così gli elefanti/2: cosa c'è nella tua teiera

Gli amici con cui viaggio mi hanno ieri redarguito dopo aver letto il post ispirato dalla “Building View” della nostra Guest House a Kandy. Mi han detto con son troppo severo nei miei giudizi su Sri Lanka, facendomi così riflettere sul fatto che persino una fotografia a colori ha una scala di grigi e che le sfumature della realtà sono così tante che i miei ingenerosi giudizi sembravano forse non tenerne conto. In realtà, forse per un difetto di scuola, i reporter tendono a portare in alto le cattive notizie e a ignorare quelle buone, in omaggio alla regoletta aurea che solo un uomo che morde un cane è una notizia e non viceversa. Ma devo ammettere che, da inveterato viaggiatore, questo problema del turismo e dei suoi effetti perversi mi affligge e mi ha sempre corroborato diversi dubbi: siamo i nuovi colonialisti retroguardie della penetrazione commerciale? Nuovi barbari convinti invece di fare del bene coi nostri dollaroni? Segmenti di diverse categorie più o meno consapevoli? Turisti o viaggiatori? Più attenti ai monumenti che alle storie, spesso tristi, di chi ci vive accanto? I dubbi non muoiono mai specie dopo aver visto ieri due italiani piuttosto anzianotti apostrofare con rabbioso sussiego una cameriera che tardava a portare il conto. Se fossero rimasti casa non avrebbero fatto un soldo di danno ma in compenso la cameriera non avrebbe forse il suo lavoro. C'è insomma e comunque un prezzo da pagare su un crinale fragile e controverso di cui restiamo più o meno volontari protagonisti.

Come che sia, la giornata di ieri mi ha in parte riconciliato con un'isola che resta comunque uno dei posti più belli al mondo e con gente simpatica quando si riesce a uscire un po' dal circo turistico. Dico in parte perché anche ieri siamo riusciti a farci fregare come allocchi proprio per aver dato retta a uno dei tanti imbonitori secondo il quale il tè che vendono al Museo di Kandy ci sarebbe costato tre volte tanto che al mercato. Costava invece la metà...


Il Museo del tè è una vecchia fabbrica ben tenuta e ben organizzata nella quale si vede l'intero procedimento del quale sir Lipton fu una delle icone ancor oggi visibile sulle bustine che in ogni albergo del mondo vi propinano a colazione. Si vede la parte nobile della produzione del tè: l'essiccazione, la fermentazione (la differenza tra tè nero e tè verde sta ad esempio proprio nella fermentazione che nel verde – che proviene dalla medesima pianta – non si fa), la spezzettatura delle foglie, la selezione etc. Purtroppo il Museo dice poco, anzi nulla, delle terribili condizioni di lavoro ancor oggi oggetto di battaglia tra tutele assai poco crescenti e uno sfruttamento visibile nelle facce delle raccoglitrici incontrate casualmente fuori dal museo. 

Come si nota in una delle incisioni a  lato, i poveri tamil importati da sua Maestà nell'Ottocento stavano sotto lo sguardo severo di un guardiano (bianco) dopo che, nel 1824, la prima pianticella – fatta giungere dalla Cina - era stata trapiantata al Royal Botanical Gardens, Peradeniya (5 km circa da Kandy e - sia detto tra noi - uno dei giardini botanici più belli e curati ch'io abbia mai visto e che merita da solo una visita a questa città). L'epopea delle piantagioni iniziò dopo il trapianto sperimentale di té proveniente dall'Assam e selezionato dalla potente East India Company.

L'epopea del tè srilankese comincia dunque proprio a Kandy nel 1867 e nel 1873 il primo carico arriva a Londra (Ceylon era nota per il caffè che però era stato debellato da un fungo e quindi sostituito dal tè). La manodopera di importazione era come abbiam detto tamil (Hill Country Tamils), reclutata negli anni venti dell'800 soprattutto in Tamil Nadu, in India, nell'ordine di decine di migliaia. Negli anni Sessanta un accordo tra Delhi e Colombo portò al rimpatrio di circa la metà di questi disperati che neppure avevano una cittadinanza. L'altra metà è ancora qui ma con nazionalità srilankese. Quanti erano? Non saprei con esattezza. Le statistiche dicono che nel 1911 c'erano in Sri lanka mezzo milione di tamil (Nord, Est e centro isola, la zona delle piantagioni di tè).

 Il Royal Botanical Gardens di Kandy
Nel 1971 erano 1.100mila circa e dieci anni dopo – a seguito del rimpatrio di una parte in India –  erano poco più che 800mila (le statistiche demografiche datano a Sri Lanka solo dal 1871). La storia dei tamil “importati” è diversa da quella dei cugini che da secoli vivevano nel Nord e britannici e singalesi fecero di tutto per mantenere divise le due comunità, imparentate dalle comune lingua e tradizione. Le cose non sono molto cambiate oggi e anzi Colobo temette che la guerra tamil nel Nord avrebbe potuto contagiare i paria del centro che passavano la loro vita in baracche da cui uscivano ed escono per andare a raccogliere le foglioline verdi con cui si prepara la nota bevanda.


La regina Vittoria
Oggi il té resta a Sri Lanka una produzione importante (ampiamente surclassata dal tessile) ma che conta solo per il 2% del Pnl con un giro d'affari attorno ai 700 milioni di dollari (esportazione principalmente nell'ex Urss e nel Golfo). Impiega però un milione di persone anche se sulle condizioni di lavoro è bene sorvolare. O almeno prendere in considerazione che nelle piantagioni lavorano anche minorenni in condizioni igienico sanitarie molto discutibili per non dire vicine alla semi schivitù: in stragrande maggioranza donne di tutte le età. L'angolo buio nella vostra pot tea.

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