Gli
amici con cui viaggio mi hanno ieri redarguito dopo aver letto il
post ispirato dalla “Building View” della nostra Guest House a
Kandy. Mi han detto con son troppo severo nei miei giudizi su Sri
Lanka, facendomi così riflettere sul fatto che persino una
fotografia a colori ha una scala di grigi e che le sfumature della
realtà sono così tante che i miei ingenerosi giudizi sembravano
forse non tenerne conto. In realtà, forse per un difetto di scuola,
i reporter tendono a portare in alto le cattive notizie e a ignorare
quelle buone, in omaggio alla regoletta aurea che solo un uomo che
morde un cane è una notizia e non viceversa. Ma devo ammettere che,
da inveterato viaggiatore, questo problema del turismo e dei suoi
effetti perversi mi affligge e mi ha sempre corroborato diversi
dubbi: siamo i nuovi colonialisti retroguardie della penetrazione
commerciale? Nuovi barbari convinti invece di fare del bene coi
nostri dollaroni? Segmenti di diverse categorie più o meno
consapevoli? Turisti o viaggiatori? Più attenti ai monumenti che
alle storie, spesso tristi, di chi ci vive accanto? I dubbi non
muoiono mai specie dopo aver visto ieri due italiani piuttosto
anzianotti apostrofare con rabbioso sussiego una cameriera che
tardava a portare il conto. Se fossero rimasti casa non avrebbero
fatto un soldo di danno ma in compenso la cameriera non avrebbe forse
il suo lavoro. C'è insomma e comunque un prezzo da pagare su un
crinale fragile e controverso di cui restiamo più o meno volontari
protagonisti.
Come
che sia, la giornata di ieri mi ha in parte riconciliato con un'isola
che resta comunque uno dei posti più belli al mondo e con gente
simpatica quando si riesce a uscire un po' dal circo turistico. Dico
in parte perché anche ieri siamo riusciti a farci fregare come
allocchi proprio per aver dato retta a uno dei tanti imbonitori
secondo il quale il tè che vendono al Museo di Kandy ci sarebbe
costato tre volte tanto che al mercato. Costava invece la metà...
Il
Museo del tè è una vecchia fabbrica ben tenuta e ben organizzata
nella quale si vede l'intero procedimento del quale sir Lipton fu una
delle icone ancor oggi visibile sulle bustine che in ogni albergo del
mondo vi propinano a colazione. Si vede la parte nobile della
produzione del tè: l'essiccazione, la fermentazione (la differenza
tra tè nero e tè verde sta ad esempio proprio nella fermentazione
che nel verde – che proviene dalla medesima pianta – non si
fa), la spezzettatura delle foglie, la selezione etc. Purtroppo il
Museo dice poco, anzi nulla, delle terribili condizioni di lavoro
ancor oggi oggetto di battaglia tra tutele assai poco crescenti e uno
sfruttamento visibile nelle facce delle raccoglitrici incontrate
casualmente fuori dal museo.
Come si nota in una delle incisioni a lato, i
poveri tamil importati da sua Maestà nell'Ottocento stavano sotto lo
sguardo severo di un guardiano (bianco) dopo che, nel 1824, la prima
pianticella – fatta giungere dalla Cina - era stata trapiantata al Royal
Botanical Gardens, Peradeniya (5 km circa da Kandy e - sia detto tra noi - uno
dei giardini botanici più belli e curati ch'io abbia mai visto e che merita
da solo una visita a questa città). L'epopea delle piantagioni
iniziò dopo il trapianto sperimentale di té proveniente dall'Assam e selezionato dalla potente East India Company.
L'epopea
del tè srilankese comincia dunque proprio a Kandy nel 1867 e nel
1873 il primo carico arriva a Londra (Ceylon era nota per il caffè
che però era stato debellato da un fungo e quindi sostituito dal
tè). La manodopera di importazione era come abbiam detto tamil (Hill Country
Tamils), reclutata negli anni venti dell'800 soprattutto in Tamil
Nadu, in India, nell'ordine di decine di migliaia. Negli anni Sessanta un
accordo tra Delhi e Colombo portò al rimpatrio di circa la metà di
questi disperati che neppure avevano una cittadinanza. L'altra metà
è ancora qui ma con nazionalità srilankese. Quanti erano? Non
saprei con esattezza. Le statistiche dicono che nel 1911
c'erano in Sri lanka mezzo milione di tamil (Nord, Est e centro
isola, la zona delle piantagioni di tè).
Il Royal Botanical Gardens di Kandy |
Nel 1971 erano 1.100mila
circa e dieci anni dopo – a seguito del rimpatrio di una parte in India – erano poco più che 800mila (le statistiche demografiche datano
a Sri Lanka solo dal 1871). La storia dei tamil “importati” è
diversa da quella dei cugini che da secoli vivevano nel Nord e
britannici e singalesi fecero di tutto per mantenere divise le due
comunità, imparentate dalle comune lingua e tradizione. Le cose non
sono molto cambiate oggi e anzi Colobo temette che la guerra tamil
nel Nord avrebbe potuto contagiare i paria del centro che passavano
la loro vita in baracche da cui uscivano ed escono per andare a
raccogliere le foglioline verdi con cui si prepara la nota bevanda.
La regina Vittoria |
Oggi
il té resta a Sri Lanka una produzione importante (ampiamente surclassata dal tessile) ma che conta solo per il 2%
del Pnl con un giro d'affari attorno ai 700 milioni di dollari
(esportazione principalmente nell'ex Urss e nel Golfo). Impiega però un
milione di persone anche se sulle condizioni di lavoro è bene
sorvolare. O almeno prendere in considerazione che nelle piantagioni
lavorano anche minorenni in condizioni igienico sanitarie molto
discutibili per non dire vicine alla semi schivitù: in stragrande
maggioranza donne di tutte le età. L'angolo buio nella vostra
pot tea.
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