Medici senza frontiere e senza giustizia |
Msf per ora non smentisce e non conferma e, spiegano nei suoi uffici, aspetta di vedersi recapitare un atto formale e non una semplice indiscrezione di stampa. La polemica è in agguato: a fine febbraio gli americani scrissero a 140 parenti delle vittime facendo le scuse e promettendo un risarcimento che da vittime e medici fu definito offensivo e ridicolo: 3mila dollari se c'era un ferito, e ben... 6mila se era scappato il morto. Se i soldi siano stati poi accettati o già pagati non si sa: a distanza di quasi sei mesi dall'attacco all'ospedale di Msf a Kunduz (erano gli inizi dell'ottobre scorso) la vicenda resta piena di ombre e le famose indagini ufficiali ancora non sono state pubblicate. Di certo c'è soltanto quella prodotta da Msf mentre il numero dei morti è lievitato ad “almeno” 52 (14 morti tra il personale, 24 tra i pazienti e 14 altri civili).
Presentato in novembre a Kabul, il rapporto di Msf racconta invece dettagliatamente uno degli episodi più tragici di violazione del diritto umanitario, consumatosi in circa un'ora di bombardamento, iniziato tra le 2 e le 2.08 del mattino del 3 ottobre 2015 e conclusosi tra le 3 e le 3 e un quarto: alcuni pazienti bruciarono vivi nei loro letti e alcuni dello staff furono decapitati e mutilati dalle schegge magari mentre tentavano di mettersi al riparo. Il rapporto spiegava anche che all'interno del centro traumatologico della città in mano ai talebani e assediata dai soldati afgani con il sostegno dell'aviazione statunitense, non c'erano combattenti armati o combattimenti in corso, ma solo pazienti di entrambe le fazioni curati nei letti di un luogo che dovrebbe essere un tempio protetto. Infine che l'obiettivo del raid, derubricato dalla Nato a “incidente” ed “errore” aveva un chiaro obiettivo: «Da quanto accaduto nell’ospedale emerge che questo attacco è stato condotto allo scopo di uccidere e distruggere – spiegava Christopher Stokes, direttore generale di Msf - ma non sappiamo perché. Non abbiamo visto cosa è successo nella cabina di pilotaggio, né nelle catene di comando statunitense e afgana”. Gli americani hanno poi spiegato che si era trattato di un difetto nella ricezzione degli ordini e cioè che l'edificio da colpire era in realtà un altro. Dunque la colpa fu della squadra dell'AC-130 che avrebbe dovuto mirare allo stabile in mano alla guerriglia a 411 metri di distanza dal nosocomio ma sbagliò obiettivo.
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