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domenica 2 ottobre 2016

Vedo dunque so, la parabola di Asiatica

Si conclude oggi a Roma uno dei Festival sull'Asia più importanti d'Italia. Un
festival di cinema sul continente più popoloso del pianeta che si deve alla caparbietà di un signore romano, e al suo variegato gruppo di amici, che da 17 anni a questa parte si danno da fare per farci raccontare dagli autoctoni come sono, cosa vivono, quel che sognano. Operazione rara in un Paese abituato a guardarsi l'ombelico e rara in un continente- l'Europa - così conscio della sua missione di civiltà da ignorare o quasi tutte le altre. Così che non c'è da stupirsi se la stampa - mainstream e non - gli dedica troppo poca attenzione e se altrettanto fanno i fondi pubblici, buoni per  lo Stretto sul canale ma sviati da quel che, anziché farci andare  più in fretta da una parte all'altra, ci invita a fermarci per esercitare l'arte della ragione.


Nonostante le difficoltà, quel signore di Roma (Italo Spinelli) e la sua banda di amici ce l'hanno fatta anche questa volta, ricorrendo a sponsor e al crowf, questa nuova forma di sostegno che in qualche modo funziona. Ce l'anno fatta a farci vedere, nella 17ma rassegna di Asiatica Film Mediale, qualcosa come 20 tra film, corti e documentari da 40 Paesi, un record che si aggiunge ai numeri delle edizioni precedenti:  800 titoli provenienti da 40 Paesi diversi, incontri con  420 registi, qualcosa come poco meno di 10mila spettatori. E' molto, ma è anche poco.

E' molto perché Asiatica è un faro nella notte come tutte le rassegne che allargano il nostro sguardo sulla diversità. E' molto perché c'è un team di ricercatori che ci ha fatto scoprire la cinematografia iraniana, gli sforzi di quella pachistana, la  nascita di quella progressista afgana e così via. E' molto perché non c'è molto altro di analogo e comunque nulla che vada così in profondità e a largo raggio sul cinema dell'Asia. Ma è poco perché resta una rarità per collezionisti, scarsamente dotata di fondi e non esibita come di dovrebbe dalla città che la ospita da 17 anni.

Che succederà quando la caparbietà di Spinelli dovesse cedere il passo alla rassegnazione o alla stanchezza? E' una delle tante domande che andrebbero fatte alla sindaca della capitale che temo però abbia altro a cui pensare. Comunque, per chi non ci fosse andato, il catalogo della mostra è illuminante. Non c'è che da sperare che l'evento si ripeta.  E c'è da sperare che dia luogo a un contagio, che emigri anche in qualche sede distaccata in un'altra città italiana. Che magari abbia intenzione di risvegliarsi da un lungo sonno che da vent'anni almeno grava sullo stivaletto senza Ponte sullo stretto.

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