Alla vigilia del primo round elettorale tra il presidente Jokowi e il suo rivale Prabowo Subianto – un ex generale che sposato in prime nozze con la figlia del fu dittatore Suharto – il capo di Stato indonesiano in scadenza se n’è uscito con una rivelazione clamorosa. E cioè che di lì a poco Abu Bakar Bashir, l’ottuagenario ispiratore della strage di Bali del 2002 (il suo coinvolgimento diretto non è mai stato provato), sarebbe uscito di galera. Il teologo e fondatore del gruppo islamista Jemaah Islamiyah (da cui è poi uscito per creare un altro movimento) è malato e dunque, ha spiegato Joko Widodo detto Jokowi, ci sono motivazioni umanitarie dietro al rilascio anzitempo di un vecchietto che cammina col bastone. Stranamente la notizia è passata in Asia quasi inosservata, persino sui giornali indonesiani (o su quelli cambogiani più attenti alla visita di Hun Sen in Cina). Ma la cosa non è passata invece per niente inosservata sui media australiani. Furono gli australiani a pagare il prezzo più alto nella strage del 12 ottobre 2002, l’attentato più grave a un anno di distanza dalle Torri gemelle: tra le 202 vittime, 88 erano “Aussie”, ragazzi e coppiette venute in vacanza a Bali.
Niniek Karmini del Diplomat - un magazine fondato a Sidney ora con base a Tokio e che in questi
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Abu Bakar Bashir |
anni ha fatto molta strada - ricorda ad esempio che nel marzo scorso l'Australia ha invitato l'Indonesia - quando il governo stava prendendo in considerazione gli arresti domiciliari - a evitare qualsiasi indulgenza nei confronti di Bashir. E se è pur vero che Bashir, arrestato non molto dopo la strage, fu inizialmente condannato a 3 anni di carcere (poi ridotti) per reati minori e solo nel 2011 è stato condannato a 15 per via di un campo di addestramento paramilitare, a pochi va giù che il chierico se ne possa andare a casa prima del tempo. Jokowi per altro ha dimostrato di non essere un politico sensibile alle pressioni esterne (nei casi di condanne a morte di stranieri ad esempio) ma l'Australia è sempre l’Australia. Cosa c’è dunque dietro alla svolta? Solo “considerazioni umanitarie” e problemi relativi – come ha detto il presidente - alla sua “assistenza sanitaria"?
Benché Jokowi si sia guadagnato lustro e consenso proprio con la riforma sanitaria – estesa e pressoché gratuita – ci sono almeno altre due buone ragioni.
La prima è che il mandato è in scadenza e nel Paese musulmano più popoloso del pianeta un candidato presidente si deve per forza giocare anche la carta verde. Accusato di non essere un bravo musulmano dai rivali radicali, Jokowi ha forse pensato che un atto di clemenza verso il vecchio ideologo, che gode comunque di qualche consenso, potrebbe giovargli. Un gesto di clemenza di cui però approfitterebbe anche un amico del presidente, per di più cristiano. Condannato a due anni per blasfemia nel maggio del 2017, l’ex governatore di Giacarta Basuki Tjahaja Purnama, detto Ahok, dovrebbe lui pure uscire dal carcere prima del fine pena. Una cosa bilancerebbe l’altra e Jokowi avrebbe un alleato importante al fianco perché Ahok gode del consenso anche dei musulmani moderati. Giochi complicati e pericolosi.
Widodo cerca un altro mandato per andare avanti col suo piano di riforme. La sfida principale – già vinta nel round passato del 2014 – sarà nuovamente con Prabowo Subianto, uomo dei poteri forti cui Jokowi è inviso e che si presenta con l’imprenditore Sandiaga Uno. Nel primo dibattito televisivo coi co-candidati al fianco, Jokowi ha segnato qualche punto e così il suo futuro vice Ma'ruf Amin, un religioso moderato. Ma c’è il fardello di 5 anni di governo: nel bene e nel male. Ad aprile si vedrà.
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