Visualizzazioni ultimo mese

Cerca nel blog

Translate

venerdì 27 marzo 2020

Lettere dall’esilio: l’Ovest visto da Est

Riflessioni personali di un giornalista “fuori luogo”. Sul virus del secolo e su un Secolo dell’Asia proclamato almeno dal secolo scorso ma che continua a restare in sala d’attesa. Il Covid-19 ci insegnerà ad essere più umili e meno provinciali?

Il colmo per un cronista? Abitare nel luogo che di li a poco sarà l’epicentro di una delle notizie più importanti del secolo ed essere partito verso un sito per il quale l’interesse è zero perché l’argomento del giorno, il virus globale, lì ancora non c’è. Son sempre cauto nell'esprimere opinioni ma questa volta ho preso una licenza anche se del virus non so nulla (come molti per altro). E' solo perché mi trovo nella posizione di cui ho detto sopra: sono in un Paese, il Myanmar, ignorato perché fino a tre giorni fa non c’era un solo caso conclamato di Covid-19 (oggi sono cinque e tutti importati). Benché proprio questo fatto meritasse e meriterebbe un’analisi (se ne occupa forse un po' allarmisticamente il Lat), la cosa non interessa a nessuno. Posso anche capirlo. Nel mio Paese, l’Italia, e nel mio comune, Crema (15km da Lodi e 20 da Codogno), c’è altro cui pensare. Ma l’esilio più o meno forzato in questa terra struggente (di cui posto una foto in copertina), mi ha obbligato ad alcune riflessioni. Nulla più che qualche idea personale. Che mi piace condividere di questi tempi in cui ognuno dice la sua. E sfugge il bandolo della matassa.

Da lontano si vedono le cose con maggior distacco. E visto da Oriente il Vecchio Continente (stendiamo un velo pietoso sugli Stati Uniti) mi è sembrato superficiale, leggero, incoerente (paradossalmente l’Italia è un’eccezione in positivo). Qui in Myanmar, non certo uno Stato modello di efficienza, appena arrivata a gennaio la notizia del virus, le frontiere di terra con la Cina sono state chiuse. E i cinesi in giro per il capodanno di metà gennaio sono immediatamente spariti. Tornati a casa. E persino ora, con soli 3 casi, la gente sta a casa con autodisciplina e si lava le mani ogni due per tre, Come sapete in Oriente si è messa in moto una macchina che grosso modo prevede due tendenze: il lockdown o la tracciatura dei malati. In Europa si è scelto il primo metodo. In Corea del Sud e Taiwan – ma non solo - il secondo. In Cina – o in Vietnam - una miscela di entrambi ma senza rinchiudere tutta la nazione. La cosa ha funzionato e i risultati si vedevano già almeno 15 giorni fa. Ne abbiamo fatto tesoro?

La tracciatura funziona pressapoco così, come bene riassume - nel caso coreano - Fabio Tana, un asiatista per anni al desk Asia dell’Ansa: “Chi va in quarantena deve notificare l’indirizzo, dare il numero del cellulare e inserirvi una app che consente a un sistema centralizzato il controllo dei suoi spostamenti e del suo stato di salute. Continuano ad essere in vigore le misure di prevenzione che comunque si limitano a raccomandare la mascherina, la distanza di sicurezza ed evitare gli assembramenti”. Si è detto che questo da noi non si potrebbe fare per minaccia della privacy e della democrazia (forse anche per indisciplina). Ma, mi chiedo, essere chiusi in casa non è un po’ come essere agli arresti? E l’esercito in strada e la polizia che strattona i vecchietti non sono una pericolosa apertura a norme autoritarie di sapore ...orientale?

Si dice: quelle asiatiche son dittature. Vero. Ma solo in parte. Nella maggior parte dei Paesi asiatici si tengono libere elezioni, esiste un parlamento e la libertà di stampa. Liquidare l’Asia come un insieme di sistemi autoritari e totalitari tollerando al massimo il mito della “più popolosa democrazia del mondo” (ossia l’India, attualmente l’ultimo dei modelli democratici asiatici) è superficiale e
fuorviante. Ammettere che la Cina sta sconfiggendo il virus,che in Laos ci sono solo un paio di casi, che in Vietnam il fenomeno è contenuto e che persino il Myanmar è per ora esente, forse brucia. Tranne qualche voce fuori dal coro, si parte dall’idea che da queste parti ci sia un peccato originale che, aihmé, impedisce agli asiatici oggi e agli africani domani, di essere come noi. L'Occidente visto da Oriente risulta sempre autoreferenziale, ammalato di un provincialismo culturale per cui – lo vogliamo ammettere o no – o gli altri seguono i nostri modelli o sbagliano. E se in parte avessero ragione “gli altri”? Questo caso sembrerebbe in parte dimostrarlo.

Credo che sia necessario tenere la guardia alta. Sempre. Lockdown e tracciabilità vanno bene sinché non erodono i nostri diritti fondamentali. E vi si può rinunciare nell’emergenza ma a patto che esistano meccanismi di controllo (vedi scandali delle liste telefoniche) che non abbiamo messo in piedi nemmeno quando l’emergenza non c’era. Se avete avuto a che fare con una compagnia telefonica lo sapete. E lo si sa anche tutte le volte che, cercato un volo su Internet, si viene poi bombardati dalle compagnie aeree per due settimane. L'individuo è libero o di libero c'è solo il mercato?

Dobbiamo – noi giornalisti - tenere la guardia alta ovunque, anche qui in Asia ovviamente. Democrazie fragili o sotto schiaffo (Myanmar, Thailandia per non parlare della Cambogia) possono utilizzare lo stato di emergenza per tornare allo status quo ante e cioè al pieno potere delle forze armate. Dobbiamo vigilare sul “modello cinese” che traccia persino i brufoli sulla faccia e “rieduca” i dissidenti. Dobbiamo tener d’occhio Kim Jong-un e fare le pulci alla statuaria democrazia giapponese che fa ancora fatica a riconoscere le sue colpe storiche. O quella afgana, così ammalata di occidentalismo che non obbedisce più al suo ammaestratore. Guardia alta ma senza salire in cattedra. Con un po’ di umiltà. Con l’umiltà di dire: “Scusateci del coronavirus non capiamo ancora niente. Abbiate pazienza”. Alle ricette giuste penseremo dopo. Anche a quelle in salsa di soia.

L’analisi interessante sul virus di Roberto Buffagni

Qui l’articolo di Fabio Tana

Nessun commento: