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mercoledì 6 aprile 2022

La marcia della pace a Leopoli. Un bilancio


  (di ritorno da Leopoli) – La giornata di sabato scorso a Leopoli ha concluso, con una brevemarcia dalla stazione al centro città, l’iniziativa che, partita dall’associazione papa Giovanni XXIII, ha raccolto un fiume di adesioni e fatto partire per l’Ucraina 221 persone. Giornata intensa con l’intento di portare una ventata pacifista in una guerra guerreggiata in Ucraina ma che sembra aver contagiato il mondo intero. Facendolo schierare da una parte o dall’altra in un’escalation di toni che contribuisce, coi missili, a mettere in difficoltà il già fragile processo negoziale.

Ma se venerdi era stato stato il giorno dell’entusiasmo, a marcia finita la riflessione è d’obbligo. Se questa eterogenea congerie di intelligenze e passioni non si interrogasse, avrebbe infatti ragione chi, dal salotto di casa, ha già definito i marciatori di pace degli idioti utili solo al meschino disegno di un nuovo Zar. Così, quel bicchiere coi colori della pace ha i suoi lati oscuri, le domande inevase e il rifiuto di risposte troppo semplici. Giudicata nell’ottica di un bicchiere mezzo vuoto, la marcia è stata utile soprattutto a chi vi ha partecipato. E ha un po’, inevitabilmente, coinvolto più gli italiani – e, chissà, qualche europeo – che non gli ucraini, che guardavano a quel bizzarro corteo di un centinaio di giovani e vecchi attivisti pacifisti senza capire bene cosa rappresentasse.

Nell’incrociare il corteo, il cronista incontra una sola persona che fa il segno della V vedendo i manifestanti. Ma quella V è apprezzamento per la scritta No War – in un Paese dove l’inglese è semi sconosciuto – o è il simbolo della vittoria, parola risuonata più di una volta nei discorsi di rito degli amici ucraini – sacerdoti cattolici in maggioranza – che qui hanno accolto i partecipanti alla marcia StopTheWar?

In quei discorsi, in una riunione del primo pomeriggio, paradossalmente, nessuno degli ucraini che hanno parlato ha nominato la parola pace: mir (o meglio мир), parola che i duecento erano venuti a suggerire. Anche queste sono lezioni. Che possono far male, se anche il sindaco di Leopoli ha preferito glissare e mandare un segretario che ha imbastito un discorso di rito: non bellicista ma non certo pacifista. Unica presenza istituzionale di rilievo (e molto apprezzata), l’ambasciatore italiano Francesco Zazo ma che alla fine ha solo sottolineato un eccesso di italianità.

Bisogna però andare a vedere anche nel bicchiere mezzo pieno: se la laica Carla si dispiace di “questa mancanza di un legame forte col pacifismo ucraino che pur ci dev’essere” e si chiede come altri “che senso ha una marcia di cento italiani?”, il religioso arcivescovo di Bari, Giuseppe Satriano, sottolinea che “intanto ci si è ritrovati, laici e cattolici”, uniti da un obiettivo comune che è il ripudio della guerra: lo dice papa Francesco ma anche la suprema Carta. E se dunque Leopoli – scelta organizzata in due settimane da Apg23 – ha avuto questa forza di coesione (le adesioni su stopthewarnow.eu continuano a crescere) significa che da un primo passo ne può maturare anche un secondo.

Per creare un movimento solidale e a contenuti forti ci vuole tempo, impegno e discussioni perché il secondo passo superi il primo. Significa che, ora, chi ha aderito deve fare la sua parte e portare il suo granello di sapienza nel mare sempre in tempesta dei movimenti della società civile che, proprio perché civile, non ama prendere decisioni a cuor leggero. Il passo di Leopoli dunque – almeno nella testa dei più – andava fatto. Andava, come dice il presule di Bari, “toccato il dolore”: andando alla stazione di Leopoli e dimostrando quella solidarietà che è l’unica empatia da cui partire per combattere un conflitto con altri mezzi che non quelli ormai stantii dell’arte della guerra. Strada in salita ma che vale la pena di percorrere.


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