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domenica 29 marzo 2009

IL MESTIERE DI SCRIVERE

Con una certa riluttanza ho accettato di fare alcune ore di insegnamento alla Scuola di giornalismo della Fondazione Basso, a Roma. Non ho potuto dire di no a Linda Bimbi, che regge le sorti della Fondazione, e tanto meno a Maurizio Torrealta, uno dei giornalisti italiani che stimo di più e che la scuola dirige. Ma...

La riluttanza era dovuta al fatto che l'insegnamento è forse il lavoro più difficile e complesso che si possa fare. Non richiede solo nozioni e competenza,
ma la capacità di trasmetterle, oltre a una buona dose di iniziativa per evitare che i vostri allievi comincino a sbadigliare segnalandovi che non ne possono più delle vostre chiacchiere. Infine, insegnare che cosa? Per fare il nostro mestiere basta sapere l'italiano ed essere abbastanza onesti intellettualmente da voler raccontare la verità, o almeno quella che vediamo e percepiamo. Certo, un buon giornalista è un'altra cosa. E' innanzi tutto, come si dice, la sua agenda di numeri di telefono. Ma il mestiere si impara in fretta. Una scuola può darvi una buona formazione giuridica, storica, in parte letteraria. Ma poi il mestiere si fa col notes e l'esercizio quotidiano. Che affina anche lo stile: il proprio stile. Quello per cui di un bravo giornalista amate anche quell'amabile scorrere delle parole, un piacere mentre leggete e vi informate.

Sono stato fortunato
e ho avuto una classe di “ragazzi” (li chiamo così ma sono adulti fatti e finiti) che mi hanno sopportato per l'intero ciclo e, alla fine, dopo qualche ora di teoria (in cui mi sono fatto supplire da Lucio Racano, un giornalista di agenzia che conosce la lingua meglio di me e che ha insegnato loro le quattro regole d'oro che bisogna conoscere) siamo andati sul pratico, l'unica arte che io davvero conosca. Col tempo ho scoperto che è solo scrivendo che si impara a scrivere. Rileggete il pezzo e vi accorgete che non va, non scivola e mancano alcune cose essenziali. E se lo rileggete il giorno dopo, sarà ancora più insoddisfacente. Ho imparato a rileggere le mie cose finite almeno due volte e, se ho tempo, almeno tre, mettendoci in mezzo un panino o una chiacchiera o una birretta, per interrompere il flusso dei pensieri e vedere i refusi.

Ma in questi tempi galeotti e oscuri, nei quali una nube sembra oscurare un'orizzonte incerto, ho cercato di tramettere ai miei ragazzi (che vedete nella foto) l'idea che è necessario essere flessibili e saper scrivere per chiunque. E non solo perché le notizie sono sempre le stesse. Perché il nostro mestiere sta cambiando: al reporter si sta sostituendo il webter (web reporter) e al televisivo si va sostituendo il tuttofare che filma, scrive, monta. Nella nuova catena di montaggio editoriale (la cui trasformazione si è capita con l'espulsione dal mercato dei poligrafici) il giornalista è il nuovo operaio di una macchina complessa che lavora sempre più in regime di semi schiavitù (una cosa di cui il sindacato non sembra essersi accorto). Dunque bisogna adattarsi. Ma con la schiena dritta. Anche questo ho cercato di dire.

Non rinunciate mai alla vostra passione, alla curiosità delle cose del mondo, e soprattutto alle vostre idee. Anche se dovrete scrivere (non ve lo auguro) per un giornale che vi fa pietà. Impossibile? No, possibilissimo. E anche il blog darà una mano. Palestra di pensiero libero. Oggi forse più letta dei giornali

3 commenti:

ludojona ha detto...

grazie :-) Ed è vero, ci è stato utile l'esercizio del giornale che non ci piace. Anche per esercitarci a vedere la realtà in modo più obiettivo possibile. Perchè quella è l'unico riferimento fisso, come le famose rotaie..

Anonimo ha detto...

condivido in pieno. ma metti da parte la riluttanza: ce ne fossero di maestri come te nelle italiche scuole di giornalismo!

Kush ha detto...

Quello di aprire un blog, caro "professore", è stato il consiglio migliore che potessi ricevere. Mi sono talmente appassionato a questa particolare formula di diffusione di idee, informazioni e pareri che ormai scrivo 3 o 4 post al giorno. Diciamo che nei momenti di stanca è il mio passatempo preferito. Grazie e spero ci si possa rincontrare presto.
P.S. Buon ritorno a casa (l'Afghanistan)