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domenica 5 luglio 2009

SFIDA COREANA AL 4 LUGLIO

Il 233mo anniversario dell'indipendenza degli Stati Uniti - fu il 4 luglio del 1776 che i padri fondatori firmarono a Filadelfia la Dichiarazione che separava gli americani da Sua Maestà britannica - avrebbe dovuto essere una giornata particolare nella testa di Barack Obama. Non solo per fare il punto sui conti della crisi invitando a superarla con ottimismo, come il presidente ha fatto richiamando lo spirito di Jefferson, Franklin e Adams che quella dichiarazione scrissero, ma anche per procedere nella sua nuova strategia di politica estera. Le uova nel paniere invece le hanno guastate in due: gli iraniani, la cui posizione imbarazza un'Amministrazione che aveva, in segno di apertura, invitato per la prima volta i diplomatici iraniani a festeggiare nelle ambasciate americane il 4 luglio, e la Corea del Nord che ha forse scelto la data non in modo casuale.

Pyongyang ha pensato di festeggiare l'anniversario americano e di sfidare le Nazioni Unite che questo tipo di esperimenti ha da poco vietato ai nordcoreani, lanciando sette missili balistici (Scud) con una raggio di azione attorno ai 500 chilometri: tre sono partiti sabato in mattinata dalle coste orientali della Corea del Nord, un quarto attorno all'ora di pranzo e altri tre sempre nel pomeriggio di ieri. Una mossa che ha molto allarmato sudcoreani e giapponesi anche perché è l'ultima di una serie di provocazioni: il 2 luglio Pyongyang ha lanciato quattro missili a corto raggio e il 25 maggio ha sperimentato un test nucleare sotterraneo (il secondo, che ha portato a nuove sanzioni decretate dall'Onu), preceduto da una serie di lanci di razzi a corta gittata. Infine il 5 aprile, data di inizio dell'ennesima crisi innescata dai nordcoreani, i militari del “regno eremita” avevano lanciato nello spazio un satellite che secondo l'intelligence coreana altro non era che un sistema per aggiustare il tiro di un missile balistico a lunghissima gittata. Insomma un'escalation cui la comunità internazionale aveva risposto - era il 12 giugno scorso – con una risoluzione del Consiglio di sicurezza che consentiva ispezioni internazionali sui trasporti (via mare, terra e cielo) verso e dalla Corea del Nord, per il sospetto di un commercio illegale di materiale sensibile vietato (secondo l'agenzia coreana Yonhap, i nordcoreani ne avrebbero già venduto alla Birmania e la prova sarebbe una transazione di denaro in una banca della Malaysia e l'individuazione del carico da parte americana).


Ma se Kim Jong Il
voleva rovinare la festa a Barck Obama la cosa non ha funzionato. Stati Uniti, Russia e Cina hanno risposto all'unisono gettando acqua sul fuoco, raffreddando il riscaldamento sudcoreano e giapponese e richiamando Pyongyang al tavolo dei negoziati. Posizioni morbide e che forse potrebbero essere lette come un segno di debolezza mentre invece, proprio il fatto che le tre superpotenze (che con i coreani e i giapponesi partecipano la famoso tavolo a sei che si riunisce ciclicamente a Pechino) abbiano risposto con gli stessi toni alla provocazione di Pyongyang indica una sola cosa: che a tirar troppo la corda i nordcoreani rischiano un isolamento ancora maggiore e poco aiuto anche dai loro tradizionali avvocati difensori (Pechino e Mosca).

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Le immagini: sopra il famoso dipinto di Howard Chandler Christy alla Us Capitol Art Collection; sotto Kim Jong Il

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