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sabato 17 luglio 2010

ASPETTANDO LA CONFERENZA

L'ospite, anche il più amato, è come il pesce: puzza dopo tre giorni. Quanto puzza dopo nove anni un esercito sempre meno “ospite” desiderato?
All'aeroporto un giocatore della nazionale di cricket, che sta rientrando dall'estero e che non ha certo l'aria del filo talebano in quel vestito di fresco lana dal taglio ineccepibilmente europeo, si lascia andare a un commento che sa di dietrologia: “Gli americani non vogliono mollare l'Afghanistan. Non se ne andranno. Bombardano le nostre case e la guerra gli va bene com'è. Se se ne andassero sapremmo come metterci d'accordo”. Perché restano gli americani? Non sa dirlo, ma nelle sue parole, chiamiamolo Nizar, si percepisce un'insofferenza per l'occupazione che sta montando tra gli afgani e fa il gioco dei talebani, non certo degli ospiti.

Un'analista afgano ha scritto che se gli americani, anziché tentennare sulle date dell'exit strategy, dicessero chiaramente quando e in quanto tempo se ne andranno, tutto sarebbe più facile. I talebani, ha scritto su un quotidiano del Golfo, si sentirebbero rassicurati sul fatto che la loro prima pre condizione – l'abbandono del paese da parte degli occupanti – sarebbe stata assolta e si siederebbero a trattare. Ma qui sta il punto: gli Usa ritengono che non si possa trattare coi talebani se non da una “posizione di forza” e Obama sembra prigioniero dei generali più rapaci e dei repubblicani che gli hanno rimproverato di aver dato il 2011 come data di inizio del ritiro. Così, è stato il coro, dai le coordinate al nemico che aspetterà quel giorno per marciare su Kabul...

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