Via dall'Afghanistan in modo responsabile. Inizio del ritiro confermato a luglio 2011 da un Paese dove Stati uniti e Nato stanno comunque facendo progressi: indeboliscono Al Qaeda, tengono sotto scacco i talebani, aumentano il loro controllo sul territorio mentre i numeri dell'esercito afgano dicono che cresce a ritmi più elevati di quanto non prevedesse la Nato stessa. Visto dall'angolo del tavolo di Barack Obama, che ieri ha reso nota la “review” della strategia americana in Afghanistan , il bicchiere è insomma mezzo pieno. Ma i però, i se, i ma restano tanti. Anche perché, mentre la Casa Bianca dice la sua edulcorando un messaggio che tralascia di parlare del problema della corruzione che attanaglia il governo di Karzai e delle dirette responsabilità del Pakistan, due rapporti riconducibili al National Intelligence Estimates (Nie), dunque a sedici agenzie di intelligence nazionali, dicono l'esatto contrario: senza un maggior impegno di Islamabad, che pare assai riluttante a mettercelo, ogni sforzo militare americano è destinato a fallire. Già minato com'è, tra l'atro, da un governo “fragile e corrotto” che comanda a Kabul.
Se la presenza sui media quasi nelle stesse ore di due voci che dicono tutto e il contrario di tutto e che apertamente si contraddicono sia dovuto al caso o, come è assai più probabile, ad un'attenta strategia della comunicazione, è materia da speculatori. Ma quel che è certo è che l'uscita pubblica nello stesso momento di due visioni totalmente opposte sull'AfPak riflette la discrepanza di opinioni interne all'Amministrazione e fa stato di un decisionismo americano che fa fatica a decidere quale strada prendere con fermezza.
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