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domenica 2 ottobre 2011

CACCIA GROSSA AGLI HAQQANI

La notizia del giorno è la cattura di Haji Mali Khan, un religioso fondamentalista che fa parte della cosiddetta Rete Haqqani, una delle fazioni più crudeli e brutali della galassia talebana e l'organizzazione più vicina, ideologicamente ad Al Qaeda. Ma il colpo della Nato/isaf alla Rete, nel mirino degli americani soprattutto dopo l'ultimo attacco a Kabul del mese scorso, si lega inevitabilmente alla scelta resa nota venerdi dal presidente afgano Karzai di non voler più trattare coi talebani ma di voler negoziare direttamente col Pakistan.

La situazione è di grande complessità. Vediamo di riepilogarla.

La Nato/Isaf mette a segno un colpaccio: Haji Mali Khan non è infatti solo la “mente” del gruppo Haqqani ma lo zio di Siraj, il trentenne a capo di fatto dell'organizzazione fondata dal padre Jalaluddin, un ex mujaheddin che però secondo alcune fonti sarebbe ormai morto o gravemente malato. Il bastone del comando sta nelle mani di Sirajuddin, un giovane che non ha la statura del padre ma che sarebbe il teorico delle azioni più eclatanti messe a segno da questa fazione talebana di 2mila militanti(secondo alcune fonti Siraj siederebbe anche nella shura di Quetta, il Gran consiglio talebano capeggiato da mullah Omar) che ha una sua propria agenda: politica, militare e ideologica. L'agenda ideologica è qaedista: è questo il gruppo che ha maggiori legami sia con ciò che resta di Al Qaeda (e i suoi finanziamenti), sia con Tarek-e-taliban-Pakistan, la fazione talebano-pachistana che, negli ultimi due anni, si sta distinguendo in efferatezza e violenza in Pakistan senza alcuno scrupolo verso le vittime civili che produce.

La tattica militare è tipicamente qaedista: sarebbe stato Jalaluddin a introdurre nella guerra afgana i kamikaze di cui la rete fa largo uso. L'agenda politica è molto filopachistana al punto che gli americani, che lo sanno da tempo, hanno da diversi giorni accusato i servizi di Islamabad di aver stretto con gli Haqqani un vero e proprio matrimonio d'interesse. Di fatto gli Haqqani vogliono spingere Kabul a negoziare una possibile pace senza ignorare il Pakistan che, fino a ieri, Karzai ha cercato di tenere fuori dalla porta. Ecco dunque come la vicenda si intreccia con le dichiarazioni, venerdi, di Karzai che, accusando la shura di Quetta di avergli appena ucciso il suo capo negoziatore (Rabbani, nominato al vertice dell'Alto consiglio di pace afgano) ha scelto adesso di negoziare con il Pakistan. Un'ipotesi a cui gli americani sembrano propensi tanto che il generale Mullen, capo di Stato maggiore uscente, ha detto al suo successore, Martin Dempsey: senza il Pakistan non c'è soluzione nella regione.

Dunque gli Haqqani, che qualcuno sospetta essere gli autori dell'uccisione di Rabbani, avrebbero ottenuto lo scopo: allontanare Karzai da una soluzione solo inter afgana. Fargli rompere i negoziati in corso con Omar e fargli seguire invece la sirena di Islamabad (che su Omar ha meno influenza rispetto agli Haqqani).

Gli Haqqani comunque sono un problema. Gli americani sono favorevoli a un Pakistan tranquillo (tale sarebbe solo se fosse sicuro di pilotare il negoziato afgano per avere, cioè un governo alleato a Kabul in futuro) ma nel contempo vedono negli Haqqani la longa manus di Al Qaeda. Vorrebbero insomma un tavolo negoziale con un mullah Omar ridimensionato, con Gulbuddin Hekmatyar, (la terza fazione “talebana”) ma senza gli Haqqani. Che però di fatto stanno favorendo un buon posto a tavola per Islamabad. Una tavolata ancora piena di incertezze.

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