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mercoledì 13 agosto 2014

Perché non dare le armi ai curdi

Dare armi ai peshmerga curdi è una delle opzioni al vaglio dei ministri degli Esteri dell'Unione. I favorevoli sono parecchi e in prima fila c'è anche l'Italia. A Pierferdinando Casini il merito di averlo chiesto per primo in un'intervista. Ma io non credo sia una buona idea. Armare le persone, anche quando sono in pericolo, non è una buona soluzione. Se un vostro amico fosse in balia di una banda di assassini che hanno circondato casa sua, gli paracadutereste un lanciafiamme o chiamereste la polizia?

La polizia che non c'è

Qualcuno dirà che in questo caso non c'è una polizia da chiamare e questo è un punto che esamineremo. Tal altro dirà che questa è un'emergenza ma qui la risposta è facile. Le emergenze di questo tipo sono continue. C'è appena stata una guerra a Gaza, è in corso un conflitto in Siria e in Libia e così via, la lista è lunga. Dunque bisogna lasciar morire yazidi, cristiani e sunniti nonché curdi e peshmerga? No, certo, vanno sostenuti. Io credo persino con una soluzione militare, ma non con la foglia di fico delle armi che è il modo più semplice di sbarazzarsi del problema dando lavoro a Finmeccanica. E allora?

Una situazione di emergenza va affrontata ma dovrebbe essere soprattutto l'occasione per riflettere e non ritrovarsi più nel dilemma. Dunque al primo punto c'è la polizia. Abbiamo una forza di polizia internazionale che possa rapidamente muoversi su indicazione del Consiglio di sicurezza (si spera riformato)? No, una polizia dell'Onu non c'è; non c'è nemmeno la task force di reazione rapida della Ue. Come polizia abbiamo solo la Nato, ossia un'alleanza regionale nel cui mandato solo una forzatura può trovarci una possibilità d'impiego fuori dai confini che essa deve difendere. Ecco allora che al primo punto c'è una questione di stretta attualità e che si ripresenterà a ogni emergenza. Qualcuno vuol dire perché questa polizia internazionale non c'è? Qualcuno vuol dire se si vuole lavorare al vecchio sogno in cui fallirono la Nazioni Unite dopo la seconda guerra mondiale? Qualcuno vuole spiegare perché per polizia dobbiamo avere un gruppo di Paesi – la Nato – il cui intervento finora ha lasciato poco più che macerie dietro di sé e, per forza di cose, una storia non condivisa di azioni militari unilaterali?
Dirà qualcuno che questo è nascondersi dietro il dito dell'impossibile. Può darsi ma intanto c'è qualcosa che si può fare da subito. Lo elenco.

Cosa fare?

Anziché inviare nuove armi bisogna bloccare quelle che già sono in funzione. Gli islamisti di Al-Baghapertis verbis a costo di una crisi con Riad o gli emirati. Oggi con loro, domani con Teheran oppure con gli Stati Uniti o la Russia. C'è sempre qualcuno che arma qualcuno. Si può bloccare questo flusso? In parte si: congelando asset bancari, rafforzando i controlli frontalieri e soprattutto denunciando pubblicamente. Sempre però, non a seconda delle convenienze. Un comitato internazionale di esperti e analisti con questo compito sarebbe una buona idea da mettere sul tavolo.
dadi le armi le hanno avute da qualcuno. Si sa anche da chi. Lo scrive persino il Corriere. E allora bisogna avere il coraggio politico diplomatico di dirlo.

In secondo luogo bisogna bloccare tutte le forniture nazionali sospette di finire in territorio di conflitto. Andava fatto con Israele ma l'Italia e l'Europa, con l'eccezione di Madrid, se ne sono ben guardate. Due pesi e due misure? E si. E non era certo una soluzione inviare armi ad Hamas. Però bloccare le forniture a Israele (e così le esercitazioni congiunte previste in Sardegna) sarebbe stato un segnale forte. Un'azione politica ben fatta a volte è più risolutiva di una battaglione di commando.
In terzo luogo si può e si deve intervenire, d'accordo con la repubblica curda e il governo
di Bagdad, per aprire corridoi umanitari inviando uomini e mezzi. Uomini e mezzi - anche italiani - (che sarebbe meglio avessero almeno l'avallo Onu) in grado di potersi difendere in caso di attacco dai predoni di turno. La legittima difesa, specie se per difendere un obiettivo umanitario, è cosa legittima e sacrosanta anche per un pacifista.

Ma armare la guerra, da qualsiasi parte lo si faccia, significa solo promuoverla a ruolo primario e alimentarla perché da scaramuccia diventi mostro. E' ovvio però che, per fare tutto questo, ci vuole una nuova carta sottoscritta anche da cinesi, russi, brasiliani e così via. Solo con quella in mano si può pensare di poter affrontare le emergenze a livello globale e solo così si può immaginare di costruire una forza di polizia internazionale. Riprendendo il vecchio sogno in mano. Non il fucile.


1 commento:

Anonimo ha detto...

Sempre stimolante, mai banale.
Grazie per il tuo lavoro che contribuisce a destare dal sonno la ragione
Lello