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mercoledì 22 agosto 2018

Bombe e confusione a Kabul nel giorno di Eid

Figlia della grande confusione politica che regna sotto il cielo afgano, la guerra infinita si è arricchita ieri - nel giorno della celebrazione di Eid al-Adha, il sacrificio di Abramo - di un nuovo capitolo. E mentre Ashraf Ghani stava mandando al popolino il suo messaggio di “Eid Mubarak” - a due giorni dalla richiesta del presidente afgano di una nuova tregua - i miliziani dello Stato islamico hanno lanciato razzi sul palazzo presidenziale e sulla “zona verde” delle ambasciate. Arrivati in città con un paio di furgoncini si sono nascosti nell’area vicina alla grande moschea di Eidgah e hanno iniziato a sparare: una trentina di razzi, che hanno colpit la zona del palazzo e quella dove si trova il quartier generale Nato, l’ambasciata americana (e la nostra). Poi hanno ingaggiato una battaglia durata tre ore che ha visto intervenire anche gli elicotteri da combattimento dell’esercito afgano a pochi giorni dall’ennesima prova di forza nella città di Ghazni: un attacco della guerriglia talebana durato cinque giorni. Quattro dei nove miliziani sono stati uccisi. Sei i feriti. In altre zone del Paese invece la festa e la preghiera non hanno registrato incidenti.

In attesa di avere un bilancio più preciso (come insegna la battaglia di Ghazni che dalle venti vittime
Ashraf Ghani: in cerca
di una tregua 
civili iniziali ha visto salire il bilancio a 200-250 di cui molti uccisi dal fuoco amico dei raid statunitensi) qualche considerazione va fatta. Quando lunedi Ghani ha lanciato l’idea di una nuova tregua che, a partire dalla vigilia di Eid, avrebbe dovuto estendersi sino al 21 novembre (capodanno del Profeta) e quindi coprire il periodo elettorale, non molti avevano scommesso sull’adesione dei talebani anche se alcune fonti la davano per possibile. L’idea del presidente è piuttosto sembrato l’atto di chi conta forse su un movimento guerrigliero disomogeneo da cui è lecito aspettarsi di tutto. Forse anche una spaccatura. Ma la decisione unilaterale, condizionata all’adesione talebana, si è rivelata alla fine una dimostrazione di debolezza: i talebani non hanno risposto, a pochi giorni dalla prova di forza di Ghazni dove hanno tenuto in scacco la città quasi una settimana. I razzi di Daesh sono stati la cigliegina sulla torta e la tregua di Eid el-Fitr di metà giugno scorso, durata tre giorni e figlia della pressione popolare pacifista che si va allargando nell’intero Paese, è rimasta una goccia nel mare quando gli americani – a sorpresa – han fatto sapere di essere pronti a colloqui diretti coi talebani.

Concordata o meno con Ghani, la mossa ha per forza spiazzato il governo di Kabul che ha sempre fatto dei negoziati interafgani un punto fermo. Gli americani han sparigliato le carte senza però prendere una posizione ufficiale chiara: con contatti più o meno segreti e aprendo un canale che non contempla la presenza del governo di Kabul né di rappresentanti pachistani. Con quale effetto? Quello di aumentare la confusione.

Lo si capisce dal messaggio per Eid al-Adha che mullah Akhundzada, il capo della shura di Quetta, ha appena scritto: “... Eid-ul-Adha si avvicina mentre il nostro jihad contro l'occupazione americana è alle soglie della vittoria grazie ad Allah… gli invasori infedeli hanno perso ogni volontà di combattere, la loro strategia è fallita… gli arroganti generali americani sono stati costretti a piegarsi...”. I talebani hanno in effetti appena ridicolizzato i militari stellestrisce, che si eran detti sicuri che la guerriglia non sarebbe più entrata nelle città. Inoltre, vorrebbero negoziare ma continuano i raid, come è successo a Ghazni, con case distrutte e famiglie decimate come denunciato dai residenti.

Se mai i talebani volessero aderire a una tregua, possono ora farlo da una posizione di forza anche se la prudenza è d’obbligo. La guerriglia non ha infatti alcun interesse a creare condizioni pacifiche per le elezioni di ottobre che si svolgeranno in questo quadro confuso e violento che già ha caratterizzato l’iscrizione alle liste elettorali. Lo stesso quadro con cui Kabul andrà a Ginevra in settembre per stabilire le priorità che la  comunità internazionale dovrà in seguto finanziare. Con documenti, dice una fonte locale, che contengono esattamente gli stessi problemi del 2001. Gli stessi di... diciotto anni fa

Articolo uscito oggi su il manifesto

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