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giovedì 7 febbraio 2019

Dopo i colloqui di Mosca

Il Divide et impera vale anche per i Talebani. Dopo aver incassato a Doha una bozza di accordo con
gli Stati Uniti, escludendo il governo afghano dai colloqui con il rappresentante del presidente Trump, Zalmay Khalilzad, a Mosca ieri hanno dettato l’agenda dell’incontro con 32 rappresentanti della politica afghana, inclusi i principali oppositori del presidente in carica, Ashraf Ghani, sempre più marginalizzato. Oltre ai barbuti, al tavolo negoziale c’erano pezzi da novanta come l’ex presidente Hamid Karzai, l’ex consigliere per la sicurezza nazionale Hanif Atmar, l’ex governatore della provincia di Balkh, Atta Mohammad Noor, che ha chiesto la formazione di un governo ad interim per gestire la riconciliazione. Unica donna a parlare, l’ex deputata Fawzia Koofi.

“Non hanno nessuna autorità, che discutano quanto vogliono”, manda a dire da Kabul il presidente Ghani, che nelle elezioni presidenziali di luglio dovrà sfidare alcuni dei presenti a Mosca. I Talebani sfruttano dunque le divisioni altrui. E a margine dell’incontro rivelano che l’accordo con gli americani raggiunto a Doha prevede il ritiro di metà delle loro truppe entro la fine di aprile. Smentita dal Pentagono, la notizia è utile a dimostrare chi è in posizione di forza. Il capo della delegazione talebana, Sher Mohammad Abbas Stanikzai (che tra pochi giorni verrà sostituito da mullah Baradar), ha tenuto un discorso di mezz’ora. Ha elencato gli ostacoli alla pace (l’occupazione militare, la Costituzione “illegittima e imposta dall’Occidente” che va rivista, le sanzioni contro i barbuti nella lista “nera” Usa, “i detenuti politici”) e illustrato la posizione dei tubanti neri su molte questioni, inclusi i diritti delle donne. Stanikzai promette il rispetto dei diritti delle donne, “all’istruzione, alla proprietà, all’eredità, al lavoro”, ma poi accusa le attiviste per i diritti di genere di aver “introdotto indecenza e corruzione morale nel Paese”. E ribadisce un punto chiave: “non vogliamo il monopolio del potere”. Alla fine dei colloqui è stata divulgata una dichiarazione congiunta che per certi versi ribadisce la necessità del dialogo intra-afgano (ma non accenna al governo) e dall’altra riconosce alle donne diritti economici, sociali, politici e all’istruzione (ma, dice, “in linea con i principi dell’islam”). Si può leggere qui.

A differenza dell’incontro con i Talebani dello scorso novembre a Mosca, in questa occasione al tavolo negoziale non c’erano rappresentanti del governo russo, che ha lavorato dietro le quinte. Che vi sia un interesse di Mosca nella gestione del dopo guerra afghano è fuori di dubbio e una notizia secondaria aiuta a capire il quadro: il ministro degli esteri Lavrov ha appena garantito alla sua controparte tagica che la Russia aiuterà la modernizzazione dell’esercito di Dushanbe. Se è vero – come sostiene Voice of America – che in Tagikistan stazionano 7mila soldati russi, Mosca sta tentando – con successo – di riappropriarsi del controllo dell’intera Asia centrale post sovietica. L’Afghanistan è un tassello ineludibile. È una questione di geopolitica pura. Chi controlla l’Afghanistan non controlla tanto o soltanto le rotte commerciali centroasiatiche o, se si vuole, parte della vecchia via della Seta. Controlla tutti i suoi vicini e non solo. Per la Russia riappropriarsi dell’influenza in Afghanistan è vitale per contenere l’avanzata americana. E così per Teheran: se gli Usa otterranno di conservare delle basi militari, l’Iran resterà vulnerabile a un attacco Usa.

Per Pakistan e India invece, l'Afghanistan è la pietra angolare di una strategia militare in caso di guerra tra le due ex sorelle. Anche per i Saud e gli emirati (forziere dei soldi afgani di ogni colore) Kabul è importante: è il Paese sunnita per eccellenza alle porte del mondo indù e una barriera all'espansione sciita e russa. Per la Cina, è invece un polo strategico nella corsa della One belt One road. Insomma ogni giocatore occulto ha la sua agenda e l’Afghanistan è il vaso di coccio. Senza un accordo tra tutti questi soggetti, la pace resterà una chimera. E l’Europa? Per ora l’unica azione politica è stata decidere il rimpatrio degli afgani. E offrirsi come garante di un eventuale accordo di pace. Per il resto la sua voce è schiacciata dall’attivismo russo americano. Come quella dell’Onu.

A 4 mani con Giuliano Battiston per il manifesto

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