Le stragi del triennio maledetto in un'immagine d'epoca |
Così gli organizzatori di una delle più importanti manifestazioni culturali indonesiane, se non la più nota, hanno dato venerdi scorso la notizia di un atto di censura che di fatto cancella il primo vero tentativo di fare i conti con un passato che ha appena compiuto 50 anni. Da quando un colpo di stato organizzato da una parte dell'esercito tentò, il 1 ottobre del 1965, di prendere il potere in Indonesia prima che a farlo fossero i generali che poi organizzarono la repressione immediata del putsch e, nei tre anni successivi, un vero e proprio massacro che portò all'estinzione del Partito comunista, dei suoi affiliati, simpatizzanti o semplicemente di persone contigue – per amicizia o parentela – a chi aveva simpatie di sinistra. Un incubo con un bilancio incerto che i più moderati fissano ad almeno mezzo milione di morti.
Bung Karno (Sukarno). Sotto a destra Jokowi |
La sessione dedicata a questo viaggio nella memoria doveva iniziare giovedi 29. Al centro vi sarebbe stato il discusso film di Oppenheimer (The Act of Killing 2012) – candidato all'Oscar ma che in Indonesia non è distribuito – e il seguito (The Look of Silence, Gran premio della giuria a Venezia) ma anche la discussione franca con chi di quegli anni bui ha scritto e dibattuto non senza difficoltà: stranieri e indonesiani.
Gli organizzatori hanno motivato la decisione di obbedire alle autorità col fatto che altrimenti avrebbero messo a rischio l'intero festival che si svolge a Bali e prevede 225 eventi tra mostre, film e dibattiti. E se è un segno dei tempi (positivo) la lunga lettera pubblica del Festival sul web a chi si era prenotato per la sessione sul '65, è un pessimo segnale quello che viene da Jakarta proprio nell'anniversario di una delle pagine più importanti sia della storia indonesiana, sia della Guerra fredda visto che il Pki indonesiano era vicino ai cinesi e il generale Suharto, che guidò la repressione esautorando Sukarno e governando sino al 1998, era appoggiato da Washington che temeva che l'Indonesia, tassello fondamentale dell'“effetto domino” (teoria che allora guidò la guerra in Indocina), si sarebbe spostata definitivamente nell'aerea socialista.
Probabilmente Untung e Aidit pensarono che era il caso di metterlo alle strette e di evitare che il suo equilibrismo diventasse l'occasione per soluzioni autoritarie di destra. Untung aveva influenza sulla guardia presidenziale e sulla divisione Diponegoro, schierata nella capitale per la ricorrenza del 5 ottobre, festa delle forze armate: col loro aiuto voleva impadronirsi dei gangli del potere, occupare la radio nazionale (l'unica cosa che riuscì), sequestrare alcuni generali (in parte trucidati) e mettere Sukarno sotto tutela andando a prenderlo a Palazzo. Ma il golpe fallì e quando i soldati di Untung andarono a prelevarlo, Bung Karno (il “compagno” Sukarno) era lontano, in compagnia di un giovane generale: Suharto. Sukarno si spaventa o viene convinto; forse sapeva oppure – come sempre dirà – era all'oscuro di tutto. Affida i pieni poteri a Suharto che approfitta dell'ondata di sdegno che segue al sequestro dei generali e soprattutto dell'impreparazione tattica di Untung che ha fatto male i conti. Suharto stringe i ranghi, assolda milizie, fa lega con i landlord spodestati dalla riforma agraria e mette in opera un vero e proprio genocidio contro la razza comunista. Incendi, torture, stupri, fosse comuni. Aidit viene catturato e ucciso quasi subito. Untung è condannato a morte dai militari. Nessuno di loro potrà più testimoniare.
Jokowi, già governatore di Jakarta, un mister clean progressista venuto dal nulla, di segnali imbarazzanti ne ha però dati parecchi. A cominciare dalle esecuzioni che nel 2015 sono state già 14 (27 nel periodo 1999-2014). Nei giorni scorsi il suo governo è entrato ancora nel mirino di Amnesty che gli ha chiesto di revocare il nuovo codice penale islamico della provincia di Aceh, entrato in vigore il 23 ottobre: il Qanun Jinayat, che punisce i rapporti extra coniugali e l'omosessualità a frustate, tra 30 e 100. Ed è di questi giorni la polemica sulla decisione di un giudice di chiedere al presidente un decreto sulla castrazione chimica in caso di abusi sui minori. Ce n'è insomma perché si torni a parlare di un Paese che era diventato un piccolo miracolo di democrazia e sviluppo. I suoi fantasmi continuano a regnare.
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