
Sempre secondo le prime ricostruzioni della polizia, il massacro sarebbe avvenuto in tempi rapidissimi e il team di assassini si sarebbe poi allontanato indisturbato facendo perdere le tracce.
La lista di queste uccisioni mirate – a volte firmate da Daesh a volte da altri gruppi radicali a volta ancora senza nessuna rivendicazione - è lunga. L'estate scorsa era toccato a Niloy Neel, il quarto blogger dell'anno preso di mira – anche lui a colpi di machete – dopo Avijit Roy, Washiqur Rahman e Ananta Bijoy Das. La loro colpa: quella di essere considerati “atei” (per la cronaca la figlia di Siddique ha smentito che il padre lo fosse) e di utilizzare internet per polemizzare sull'esistenza di Dio ma anche semplicemente per discutere di politica o sfidare le regole dell'islam, religione ufficiale del Bangladesh. Come ha fatto notare la Bbc, con Niloy c'era stato un salto di qualità, ora ripetutosi col direttore di Roopbaan, il primo magazine Lgbt del Bangladesh: prima si uccideva in pubblico, adesso si entra nelle case. Ma la differenza è relativa anche se fa pensare a piani studiati con maggior dettaglio.
La verità evidente è che nel mirino entrano sempre più persone anche se non è mai stato esattamente chiarito il legame tra i vari delitti né se vi sia un filo rosso che li lega alle uccisioni o agli attentati contro stranieri di cui sono stati vittima anche due italiani: prima Cesare Tavella, ucciso a colpi di pistola nella capitale mentre faceva jogging, poi, nel novembre scorso, padre Piero Parolari, fortunatamente solo ferito a Dinajpur, 350 chilometri a Nord di Dacca, dove il sacerdote svolgeva, oltre al servizio pastorale, anche l'attività di medico nell'ospedale della missione locale e come volontario al Dinajpur Medical College Hospital.
Gli stranieri sono comunque stati target occasionali mentre quella dei blogger sembra adesso sempre di più una pista credibile che si serve di una lista da “spuntare” poco per volta. Questa comunità ora si sente, e forse si sentiva già da tempo, in pericolo soprattutto da quando una lista con 84 nomi di “blogger atei” è saltata fuori dopo che la polizia ha compiuto arresti in qualche madrasa e tra i gruppi giovanili islamisti del Paese. In realtà la lista è nota dal 2013 ed era stata addirittura presentata alle autorità per chieder l'arresto dei blogger e processi per blasfemia. Poi si è passati dalla lista ai fatti anche se diversi gruppi islamisti – che l'avevano sostenuta - hanno smentito che vi sia un nesso con il killeraggio organizzato. Ma resta evidente che tra una lista stilata per mettere all'indice i blogger e che li uccide ci sta in mezzo un contesto che spinge a condannare, isolare socialmente e infine punire chi devia dalla retta via. Molti infatti condannano le uccisioni ma nel contempo non assolvono i blogger, accusati di minare le basi della fede religiosa. Un'altra ipotesi la fa il ministro dell'Informazione del Bangladesh, Hasanul Haq, secondo il quale questi attacchi ai blogger sarebbero solo un modo per distrarre l'attenzione degli inquirenti dai gruppi islamisti con un'agenda eversiva anti statale che in questo modo cercherebbe di far focalizzare gli sguardi su blasfemi e anti islamici e non su di loro. Sta di fatto che i blogger non si sentono affatto protetti da un governo per il quale le priorità sembrano altre.
In mezzo a tutto ciò spunta Daesh o chi utilizza il brand, più o meno d'accordo con gli uomini di Al Bagdadi, da qualche tempo in difficoltà nella loro opera di proselitismo dopo le sconfitte nei territori conquistati dal neonato califfato. Ma Daesh o non Daesh, il Bangladesh sta facendo i conti con una vera e propria campagna assassina contro atei e “blasfemi”. E adesso anche contro chi difende i diritti di gay, lesbiche e trasgender.
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