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lunedì 9 giugno 2025

"Asia criminale": alcuni buoni motivi per leggerlo


P
erché – mi dice – dovrei comprare “Asia criminale”?

Costa solo 19 euro, gli rispondo, sotto la soglia psicologica del biglietto da 20

Si, risponde, è un buon prezzo per quasi 300 pagine. Ma di che parlate, di banditi?

Si, rispondo, banditi di varia natura e soprattutto di questo fenomeno che forse vedi già sul tuo cellulare: un’avvenente cinesina, o cinesino, elaborata/o con l’intelligenza artificiale che ti invita a investire in criptovalute. E’ il frutto di una modernità tecnologica criminale inventata proprio nel Sudest asiatico. Fabbriche della truffa o più semplicemente “Scam city”

Ci siete stati tu e Morello? Chiede 

Ti pare che per 19 euro andiamo a farci ammazzare?, gli rispondo. Epperò si che ci siamo stati ma da fuori. Le abbiamo viste, catalogate, fotografate, filmate, spiate le Scam City. Anche perché il “compound”, il cuore della Scam City, è un edifico blindato in cui si entra ma non si può più uscire. E’ circondato da guardie armate e protetto dal filo spinato. E se ti avvicini troppo quelli ti fanno secco…

Quindi – fa lui – richiede un viaggio perimetrale?

Richiede più viaggi -dico io – che con Massimo abbiamo fatto in tutto il Sudest asiatico più volte e in diversi anni. Anche perché – aggiungo – non ci sono solo le truffe. Purtroppo nel Sudest, grazie alla mania tutta umana di fare la guerra, ci sono ben altre tenebre

Guerra….?

Si c’è una guerra in Birmania che ha già fatto forse 70mila morti anche se nessuno te ne ha mai parlato. Una guerra che fa da sponda alle Scam City, fa circolare amfetamine e oppiacei, produce idee su come riciclare il denaro… C’è anche altro

Un’altra guerra?

Si una nuova guerra possibile. Intanto, come sai – faccio io – c’è in corso una battaglia commerciale tra Cina e Stati Uniti ma se ne sta preparando un’altra da fare con navi, missili, droni perché non si sa mai che nel Mar cinese meridionale – come lo chiamano – non succeda qualcosa…

A Taiwan?

Non solo a Taiwan. Anche tra gli atolli, anche attorno agli Stretti… è una tenebra nemmeno troppo nascosta che si alimenta di grandi infrastrutture portuali pensate non solo per fare commercio ma anche per parcheggiare portaerei.

Insomma, dice lui, quest’Asia criminale più che un saggio mi pare un giallo…

In parte lo è. E’ un’inchiesta su quel che c’è ma non si vede o non si riesce a vedere o non si vuole vedere. Ma è anche un reportage che oltre alle ombre mostra anche le luci e qualche spunto per pensare che questa fetta di mondo – l’Asia sudorientale – è un pezzo importante del pianeta. Sotto la Cina e a destra dell’India. A sinistra degli Stati Uniti. Non poi così lontana nemmeno per noi

Tenebre okkei ma dimmi almeno una luce...

Molte luci culinarie. La ricetta del Pad Kra Pao per esempio, piatto nazionale thai

Credevo – dice lui – che fosse il Pad Thai il piatto nazionale thai

E no, faccio io, quello lo mangiano i turisti. Tra l’altro il Pad Kra Pao si coniuga a un ragionamento sul basilico thai che non è il basilico santo indiano e nemmeno il basilico ligure con cui si fa il pesto

E tutto questo per 19 euro?

Vedi che alla fine – concludo io - il prezzo è convincente. Puoi scegliere il libro se vuoi. Oppure, visto il cambio favorevole, quattro porzioni di Pad Kra Pao

martedì 24 settembre 2024

Quanto è grande Bangkok


Q
uanto è grande Bangkok, una delle più tentacolari città dell’Asia e una sorta di capitale del Sudest asiatico? Quante anime racchiudono i suoi tanti quartieri dove la tradizione thai si mescola con quella cinese, birmana e persino occidentale?
Questa città apparentemente caotica e respingente, è piena di scorci, oasi, memorie e stratificazioni culturali che corrono lungo un fiume dove si affacciano mondi diversi.
Su una terrazza che guarda il Chao Phraya, il grande fiume della “città degli angeli”, due giornalisti italiani provano a raccontarla.

Emanuele Giordana, che frequenta Bangkok da quando era il retrovia della Guerra del Vietnam e il buen retiro di soldati e agenti americani, ne parla con Massimo Morello ( che su Bangkok ha appena pubblicato un libro per OgZero) giornalista e scrittore che ha scelto questa metropoli come residenza e scenario per i suoi racconti. Alla scoperta di tutto quello che non si vede ma in qualche modo c’è. Forse da sempre

Un podcast a due voci da oggi online: Ascoltalo qui 

Scritto e raccontato da Emanuele Giordana
Coordinamento editoriale: Tiziana Guerrisi
Producer: Sara Sartori
Post-produzione e musiche: Pietro Snider
Progetto grafico: Beatrice Cambarau
Coordinamento collana 11Decimi: Andrea Battistuzzi
Produzione Next New Media Srl. settembre 2024 ©️ tutti i diritti riservati.
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Nelle puntate precedenti: Frontiere di Tenebra Viaggio in Asia
Ascoltale qui


mercoledì 29 novembre 2023

Il mio Podcast sulle tenebre nei confini del Sudest asiatico. A Roma lunedi 4 dicembre

Lunedì 4 dicembre alle 18.00 alla Fondazione Lelio e Lisli Basso di Roma presentiamo ilPodcast “Frontiere di tenebra” con l’autore Emanuele Giordana e le giornaliste Tiziana Guerrisi e Sara Sartori. Modera Daria Corrias di Radio Rai Tre. Il Podcast è il primo della nuova collana di approfondimento giornalistico 11/decimi di Next New Media ed è un’incursione lungo i confini del sudest asiatico alla ricerca del significato del concetto stesso di frontiera. Un viaggio nei territori poco raccontati che girano intorno al Myanmar, il cuore di tenebra dell’Asia di oggi.

Si possono ascoltare qui


sabato 14 novembre 2020

Il Festival dei Cinema dei diritti umani a Napoli dal 17 novembre

Per info vai al sito del Festival


Partecipero' alla sessione inaugurale:

MARTEDÌ 17 NOVEMBRE – GIORNATA DI APERTURA – UN VIRUS GLOBALE
PANDEMIA E DEMOCRAZIA – ore 10.00
Discussione con Gianni Tognoni (Tribunale Permanente dei Popoli),
Emanuele Giordana (Atlante dei conflitti e delle guerre), Edoardo Avio (Ricercatore),
Pranab Doley (Attivista dei DD.UU.), Eleonora Fanari (Ricercatrice), Riccardo Noury
(Amnesty Int. Italia), Teesta Setalvad (Attivista e giornalista), Maria Tavernini (Gior-
nalista indipendente). Focus Sud Est Asiatico – Proiezione intervista di Arundhati Roy in
dialogo con Vijay Prashad (www.newsclick.in) - Collegamento con l’India.
L’ATLANTE DELLA PANDEMIA – ore 18.00
Michele Corcio (V. Presidente Ass. Vittime Naz. Civili di Guerra), Raffaele Crocco (RAI
Trento) e Emanuele Giordana (Atlante dei conflitti e delle guerre

sabato 25 aprile 2020

Vietnam. La piccola grande vittoria di un piccolo grande Paese

A guastare la festa al Paziente 247 – e con lui a tutto il Vietnam  che venerdi si era svegliato festeggiando 8 giorni senza nuovi casi di  Covid -19 – sono stati due studenti rientrati dal Giappone il 22 aprile e, da ieri, conclamatamente positivi. La stampa vietnamita, che venerdi mattina celebrava l’uscita dall’ospedale del Paziente 247 – immortalato con mascherina e mazzo di fiori offerto dai sanitari – ha dovuto in serata dare la notizia dei due nuovi casi ora in cura all'Ospedale Nazionale per le Malattie Tropicali, dopo che il test ha dato risultato positivo. Si tratta del Paziente 269, maschio di 23 anni del Comune di Hương Mai, e del Paziente 270, femmina di anni 22 anni, del distretto di Tiến Dũng. Riportiamo pedissequamente i dati seguendo un  protocollo ormai diffuso non solo in Vietnam ma, per esempio, anche qui in Myanmar...

segue su ilmanifesto

venerdì 20 marzo 2020

Nel Paese degli "Zero casi"

Le autorità del Myanmar non hanno preso il Covid-19 sotto gamba. Le misure non sono draconiane ma il Paese - che tra i primi ha chiuso le frontiere con la Cina già in gennaio - sembra agire con più intelligenza di certi governi europei. Ha cancellato il capodanno d'aprile, ricorrenza tradizionale che però quest'anno non si farà e molte aziende lavorano già da remoto. Che sarebbe successo da noi se si fosse abolito il Natale? Quel che conforta l'italiano in Asia, che dall'Asia al momento non può tornare (il mio biglietto è stato cancellato), è constatare che in Europa ci stiamo comportando assai meglio di tanti altri Paesi che di solito ci bagnano il naso. Di fronte a un Johnson o a un Macron, lasciatemelo dire, da qui il premier Conte sembra un gigante. Comunque non è dell'Italia che volevo raccontare.

Raccontare vorrei piuttosto dell’unico Paese dell’Asia meridionale e sud-sudorientale che – con Laos e Timor Est – può vantare assenza di Covid-19. L’ansia della sua apparizione si insinua però sottile come il virus e l’apparente salvaguardia dal male del secolo da oltre 200mila ammalati sembra a qualche maligno osservatore dovuta soprattutto ai pochissimi test eseguiti – un paio di centinaia secondo l'Oms – in una situazione dove l’esplosione del virus farebbe collassare la fragile struttura sanitaria locale. I birmani son oltre 50 milioni e 200 test son davvero pochi.

L’ambasciata britannica ha scelto Facebook due giorni per consigliare ai sudditi di Sua Maestà di lasciare il Myanmar il più rapidamente possibile per quanto in molti si chiedano se non sia meglio restare che entrare nel calderone malamente mescolato da Boris Johnson. C'è stato un assalto alle biglietterie in un clima dove ogni giorno si cancellano voli e si chiudono frontiere. Ma non è l'unica sede diplomatica a fare pressione. Pare che a breve i test saranno almeno tremila ma l'invito è a tornare a casa: "Se succede qualcosa qui - aggiunge un diplomatico - il sistema sanitario non riuscirà a farcela". Indiscrezioni dicono che i ventilatori del Myanmar non arrivino a cento. E aggiungono che chi si deve curare il Covid-19 può andare solo in strutture pubbliche. Mary, che gestisce un locale a Bagan da anni, allarga le braccia: "Sai che ti dico, sarei per la chiusura totale di tutto per un mese e non ci si pensi più". Non è detto che non ci si arrivi.

Del resto, un nuovo monito dell’Oms ha appena strigliato gli undici Paesi in cui viene divisa la regione dall'organismo dell'Onu: molti hanno pochi casi mentre altri sono in difficoltà per l’arrivo – tardivo – del virus o per il risorgere dei contagi anche in nazioni che erano riuscite a contenerlo.
Poonam Khetrapal Singh, responsabile per l’Oms della regione, ha sottolineato che sono “confermati più gruppi di trasmissione di virus” e che alcuni Paesi hanno già adottato “misure aggressive” ma che si deve fare di più: “rilevare, testare, trattare, isolare e tracciare i contatti”, avvertendo che “praticare il distanziamento sociale non sarà mai enfatizzato abbastanza” e che questo solo “ha il potenziale per ridurre sostanzialmente la trasmissione”.

Il nuovo campanello d’allarme sembra collegato soprattutto al caso malese: quando un 34enne che aveva partecipato a un evento religioso a Kuala Lumpur è morto, i riflettori si sono accesi sugli effetti di una quattro giorni di preghiere e sermoni svoltasi tra il 27 febbraio e il 1 marzo nel complesso della moschea di Sri Petaling, base in Malaysia della Tablighi Jama’at, associazione per la diffusione della fede e movimento missionario purista e ultraortodosso. All’evento avrebbero partecipato 16mila persone, tra cui 1.500 stranieri, e dei circa 900 casi del Paese (i numeri sono in ascesa), quasi due terzi vengono collegati all’incontro anche se non si sa chi sia stato il primo a diffondere il contagio. Il problema è che i fedeli venivano da una decina di Paesi: Canada, Nigeria, India, dalla stessa Malaysia. Ma anche da Cina e Corea. Gli ultraimbecilli han pensato bene di far la stessa cosa in questi giorni in Indonesia: migliaia di pellegrini per fortuna bloccati ieri dalle autorità indonesiane, fin troppo lasche mentre il virus inizia a cavalcare anche nell'arcipelago e Jokowi è sotto schiaffo.

Molti Paesi hanno già imposto misure draconiane e la Malaysia – come le Filippine che hanno sigillato l’arcipelago o lo Sri lanka dove si è verificato uno dei primissimi casi fuori dalla Cina – hanno imposto severi controlli - anche se tardivi - alle frontiere. Sembra però non bastare perché Paesi che sembravano controllare o rallentare i contagi (Corea del Sud , Singapore , Taiwan, Hong Kong) vedono una risorgenza del virus. Le polemiche investono anche l’India dove le autorità non hanno intenzione di estendere i test come fa la maggior parte delle nazioni colpite: l’India si limiterebbe a meno di un centinaio al giorno pur avendo la capacità di farne 8mila. Secondo Associated Press, solo 11.500 test sarebbero stati condotti in un Paese che ospita quasi un miliardo e mezzo di persone.

venerdì 10 giugno 2016

A Sudest del Califfo. Il progetto Daesh in Asia orientale*

Il primo numero di "Asia" inserto
mensile de il manifesto uscito l'8 giugno
Proprio mentre l’esercito iracheno, martedi scorso, iniziava la sua offensiva su Falluja nel tentativo di dare un’altra spallata a Daesh in Medio Oriente, dall’altra parte del mondo, nelle Filippine, l’esercito di Manila si dava da fare nella medesima direzione. E assestava un duro colpo al gruppo islamista “Maute”, dal nome della famiglia che lo ha creato a partire da una secessione dal Fronte islamico Moro di liberazione (Milf), una delle più antiche guerriglie secessioniste dell’arcipelago. I Maute, che avevano assaltato in febbraio un centro dell’esercito nel Lanao del Sur, la loro roccaforte nell’isola di Mindanao, avrebbero lasciato sul terreno una cinquantina di militanti provenienti da campi d'addestramento dove i prigionieri, scambiati per denaro quando non vengono decapitati, vivrebbero vestiti d’arancio come nelle galere di Daesh e il gruppo sventolerebbe volentieri la bandiera nera del Califfo. Ma è difficile capire quanto le notizie sian figlie della propaganda e quanto forti siano questi emuli dello Stato islamico. In genere, a Oriente del subcontinente indiano, si tende a negare o a esagerare la presenza di Daesh, un “partito” che - in leasing, per adesione ideologica o per comodità di sigla - appare e sparisce seguendo in parte le sorti della Casa madre in Siria o in Iraq. Un progetto sudorientale di Daesh comunque esiste e parrebbe voler ricalcare la diffusione dell’islam in questa parte di mondo asiatico. Vediamolo Paese per Paese, dal Bangladesh all’Australia.

Bangladesh

L’ex Bengala pachistano e, prima ancora, una parte rilevante del Bengala indobritannico, è un luogo tormentato dove ingiustizia sociale e povertà sono un ottimo humus per i gruppi radicali. Daesh ha rivendicato l'assassinio dell'italiano Cesare Tavella e del giapponese Kunio Hoshi oltre all’attentato al sacerdote italiano Piero Parolari ma il governo nega che il Califfato abbia basi nel Paese. Le simpatie però sono abbastanza accertate per lo meno per il gruppo Jamaat ul Mujahidden Bangladesh, autore di attentati anche contro gli sciiti locali, e lo stendardo nero potrebbe aver contagiato alcuni rami giovanili ultraradicali vicini alla Jamaat-e-Islami, il partito islamista per eccellenza. Poi c’è il gruppo Ansarullah Bangla Team che è però molto più vicino all’Aquis o Al Qaeda nel subcontinete indiano, il progetto “orientale” di Al Zawahiri. Il quadro è confuso ma quel che è certo è che esiste una politica di omicidi mirati: blogger, attivisti per i diritti lgbt, laici o atei, monaci o preti non musulmani. Dabiq, la rivista ideologica di Daesh, ha dedicato spazio al Bangladesh ma non fa menzione dei gruppi che si sarebbero associati allo Stato islamico.

mercoledì 27 maggio 2015

Fosse comuni nei lager per migranti


Non c'è forse un chilometro dalla cittadina di Wang Kelian e il confine tra la provincia tailandese di Satun – e poco più in là di Songkhla - e lo Stato malaysiano del Perlis. Tutt'intorno è foresta, appena intaccata dalle prime coltivazioni dei malesi. E' in questa zona all'estremo Nord della Malaysia che domenica scorsa la polizia ha trovato le prime tombe e indizi di fosse comuni. Poi lunedi ha rimosso un corpo in avanzato stato di decomposizione trovato insepolto nella baracca di uno dei “campi” di raccolta di migranti intercettati dagli inquirenti che già ne hanno contati 28 lungo 50 chilometri di confine. Ieri pomeriggio infine, alla presenza di giornalisti in uno dei siti nascosto in un burrone a un chilometro dalla strada e che “ospitava” forse 400 persone, è iniziata la dissepoltura.