La diplomazia italiana la considera una sua vittoria e probabilmente anche un recupero sulle critiche piovute sulla dichiarazione del G8 dei ministri degli Esteri conclusosi ieri a Trieste, e resa nota venerdi, accusata di esser stata molto blanda sull'Iran e priva di indicazioni sull'Afghanistan. Ma dalla riunione “informale” e allargata sull'AfPak (acronimo che indica Afghanistan e Pakistan) - tenutasi tra venerdi sera e ieri mattina nella città friulana - qualcosa sarebbe uscito anche se, in realtà, sembra trattarsi più di un'indicazione di metodo che non di merito.
Trieste attesta che l'appuntamento della diplomazia (24 paesi) avrebbe stabilito una nuova azione coordinata verso l'Afghanistan da parte di tutti i paesi in qualche modo interessati alla stabilizzazione della regione. Così sintetizza il ministro degli Esteri Franco Frattini, in partenza per Corfù per il vertice Nato-Russia in cui è stato preceduto, a sorpresa, da Berlusconi.
Grazie alla tre giorni a Trieste – dice il ministro - può esserci adesso più «coerenza e concretezza» negli sforzi verso l'Afghanistan che fino a oggi «non sempre sono stati coordinati fra di loro». L'Afghanistan, aggiunge Franco Frattini, rimane «un'area di preoccupazione» per la comunità internazionale che però merita «aiuto, sostegno e incoraggiamento» attraverso una più stretta «collaborazione regionale» con il coinvolgimento anche dei paesi vicini.
Il capo della diplomazia italiana dice in sostanza quel che si va ripetendo da anni e la sua sintesi sembra più che altro far stato dell'avvio di un processo regionale negoziato, per altro già in corso, che sembra restar tanto più faticoso quanto più è stata sottolineata la grande assenza di Teheran. Frattini minimizza: «l'Iran è solo uno dei molti paesi vicini, tutti gli altri hanno collaborato costruttivamente» e aggiunge «ci sono temi come il traffico di droga sul quale credo che l'Iran abbia grande interesse a cooperare e spero che in futuro coopererà». Berlusconi da Corfù aggiunge la ciliegina: «Adesso abbiamo bisogno anche della federazione russa per l'Afghanistan, visto il suo ruolo centrale nella regione da cui potrebbero partire le missioni terroristiche». Un'ultima novità: per le presidenziali Roma manderà 500 soldati, 100 in più del previsto.
Il summit però sembra aver tralasciato i temi veri: dove va la guerra e dove va, se c'è, il negoziato, internazionale ma soprattutto interno, per certificarne la fine. Esiste insomma una strategia o, per meglio dire una exit strategy, seppur sotto banco invocata persino dagli americani? Una mezza novità arriva da Kabul dove il presidente Hamid Karzai ha ieri fatto appello ai «fratelli talebani» perché si registrino nelle liste elettorali e si rechino a votare alle elezioni presidenziali e provinciali di fine agosto. Frattini apprezza e, dice, la strategia di Karzai per qualche forma di riconciliazione nazionale è «da incoraggiare fortemente». In fondo anche questo è un segno dei tempi. Ma da Trieste non esce molto di più soprattutto su una strategia di riconciliazione nazionale che faccia tacere le armi. La montagna, anche questa volta, partorisce un topolino.
Intanto però la guerra va avanti. Ieri un ennesimo ordigno è esploso al passaggio di una pattuglia di militari italiani a 40 chilometri a NordEest di Farah, nell'Ovest dell'Afghanistan, area di competenza del Comando Ovest di Isaf/Nato comandato dagli italiani: nessuno è rimasto ferito grazie alla blindatura del Lince su cui viaggiavano anche se il mezzo è stato invece gravemente danneggiato. E non è stato l'unico episodio: un attacco con armi automatiche è avvenuto sempre nella stessa area di Farah mentre una pattuglia di paracadutisti della Folgore era in perlustrazione. Quanto al primo incidente, la pattuglia si stava recando nella località di Bala Bolok dove una caserma dell'esercito afgano era stata assaltata da un gruppo di guerriglieri.
Bala Bolok è il luogo dove, agli inizi di maggio, un raid a tappeto dell'aviazione americana ha fatto strage di civili per colpire dei talebani: sarebbero almeno 140 secondo le autorità locali (bilancio respinto al mittente dai militari Usa), la strage numericamente più rilevante dall'inizio della presenza occidentale (2001) in Afghanistan.
L'attacco agli italiani (che bombardamenti non ne fanno) rientra nella gran confusione che circonda la due missioni parallele: Isaf/Nato (cui partecipa anche Roma) e Enduring Freedom (Oef, a sola partecipazione americana) completamente disgiunte (benché, si dice, coordinate) come catena di comando e decisioni operative. Ma a Trieste di questo, uno dei maggiori problemi della guerra e che rimanda alle responsabilità per le stragi di civili, non si è fatto parola. Come al solito. As usual, direbbero gli americani.
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