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martedì 30 gennaio 2018

La Taranto del Nord. Sotto il tappeto della città cartolina

Era il settembre del 2012 quando uscì la mia prima inchiesta sulla ferriera di Servola, a Trieste. La pubblicammo su Terra (il mensile cui lavoravo allora e che l'insipienza del suo editore trascinò al fallimento) e poi organizzammo un incontro con il sindaco, l'associazione NoSmog e la cittadinanza per parlarne. Ci sono tornato nel dicembre dell'anno scorso, a distanza dunque  di cinque anni, per vedere a che punto eravamo arrivati e per scoprire che le bocce erano, più o meno, allo stesso punto. Ne è uscito in gennaio un reportage per Internazionale che, mutatis mutandis, sembra quasi "copiato" da quello del 2012. Solo la sofferenza dei residenti è cambiata: è aumentata, come i danni alla loro salute.  Un ieri e un oggi che sembrano maledettamente simili a domani...



La foto di apertura (di M. Borzoni) con cui Internazionale ha aperto
il servizio pubblicato sull'edizione online del settimanale. Sopra,
la copertina di Terra con le foto di M. Bulaj che illustravano il reportage

Lasciata l’autostrada a Duino, la cittadina che annuncia la costiera triestina, ci sono una ventina di chilometri per raggiungere il capoluogo del Friuli Venezia Giulia. Venti chilometri che si dipanano tra una serpentina di curve appoggiate alla montagna carsica a strapiombo sul golfo. Il paesaggio è sempre spettacolare in qualsiasi stagione si percorra la costiera. Sui pendii di roccia grigia e frastagliata si allunga in estate l’ombra dei lecci e, d’inverno, le chiome di queste querce sempreverdi disegnano di colore la passeggiata sul mare. In autunno le foglie rosso carminio del sommacco puntellano il bosco che all’inizio della stagione calda si riempie di asparagi selvatici e di altre specie vegetali che ne fanno un museo a cielo aperto di biodiversità. Il golfo, sulla vostra destra mentre raggiungete Trieste, è un enorme bacino che non ha quasi orizzonte. Le nuvole sono rare e spesso la bora, il vento gelido che spira da Nord, spazza un cielo terso per gran parte dell’anno. Piccoli sentieri scendono al mare dove trattoriole senza pretese preparano cozze e spritz che qui si beve, come a Gorizia, con vino bianco miscelato ad acqua. La montagna offre invece l’accoglienza delle osmice (osmize), piccoli ristori a conduzione famigliare dove il proprietario, e solo in certi mesi, può offrirvi in casa sua i prodotti della sua terra, dal vino al formaggio, ai salumi. Niente dannatissimi scontrini e un’atmosfera di frontiera che si percepisce già nel nome, condiviso con lo sloveno.

mercoledì 9 luglio 2014

Morte nel salotto buono di Trieste

Copio da fb il post di Monika Bulaj perché meglio di ogni altra parola commenta il dramma avvenuto nella città del grande psichiatra (e a cui la città non ha dedicato nemmeno un vicolo) dove ieri è morto annegato alle 5 del pomeriggio davanti a una folla inerte un ragazzo afgano e di cui Il Piccolo ha dato notizia in maniera nefanda. La sua  famiglia ha sporto denuncia

Una vergogna per la città di Franco Basaglia, e per chi dà le notizie in questo modo.
Khalil era un ragazzo afghano schizofrenico uscito traumatizzato dalla guerra. E' annegato ieri alle 17, davanti alle gente inerte sul molo Audace.
Conosco bene questa famiglia. I suoi fratelli e cugini - persone eroiche e dignitose - gestiscono una pizzeria. (Ironia della sorte, proprio in questi giorni sto insegnando a nuotare la cugina diciassettenne di Khalil: sarà forse lei un giorno a buttarsi in mare per salvare un ragazzo triestino?)
Khalil non è un "individuo socialmente pericoloso", come oggi ne dà notizia il Piccolo (in edizione cartacea), "che ha tolto il disturbo da questo mondo", e "stavolta, però, ...ha deciso di fare male solo a se stesso", Khalil, egregio Direttore Possamai, è una persona che annega davanti agli occhi dei passanti che invece di salvarlo - tra un "tocio" e un gelato - chiamano il 118. Questa, egregio Direttore, è la notizia vera.

lunedì 17 settembre 2012

TERRA E LA FERRIERA DI SERVOLA

Sabato pomeriggio a Servola, l'associazione Nosmog ha organizzato un incontro pubblico col sindaco di Trieste dove, in anteprima nazionale, è stato presentato il prossimo numero di "Terra", mensile ecologista dedicato alla siderurgia italiana, al “caso Taranto” e al “caso Servola”, la Ferriera triestina che si trova a ridosso di un centro abitato che conta circa 30mila abitanti e dove i rilevamenti di benzo(a)pirene risultano elevatissimi e molto preoccupanti.

Durante il dibattito la proposta di Terra (che sarà in edicola il 20 settembre) davanti al Sindaco sindacati, associazioni ambientaliste e semplici cittadini, si è articolata in due punti:

il primo è che la questione Ferriera deve essere ricondotta a un tavolo nazionale che coinvolga il governo e dunque lo Stato per risolvere sia il problema dell'inquinamento ambientale, che tocca la salute dei cittadini triestini, sia il problema dell'occupazione degli oltre 500 operai impiegati dalla Ferriera. Se la vicenda Ferriera resta un “caso Servola” e non diventa, come a Taranto, un “caso Italia”, il rischio di uscirne male esiste per tutti: cittadini, operai enti locali

il secondo è che a questo tavolo dovranno sedere le associazioni della società civile (Nosmog in primis) che in questi anni si sono battute per sfondare il muro di gomma che circonda il caso della Ferriera. Non semplici “uditori” ma attori con diritto di parola e di intervento

Il sindaco, Roberto Cosolini, che non ha escluso un'ordinanza che limiti la produzione della Ferriera e che non si è sottratto a un incontro dove, per forza di cose, era l'indiscusso protagonista (in un ruolo oggettivamente difficile), si è detto d'accordo con le due proposte fatte dal nostro giornale e ha preso l'impegno, dopo aver già chiesto un incontro al governo, di sollecitarne uno nuovo. Non ha dato però scadenze sulla possibile ordinanza che il Comune sta valutando.

Alla partecipatissima riunione pubblica erano presenti esponenti di Legambiente, Wwf e Verdi oltre alla Cisl, al sindacato autonomo, a Sel e a diversi assessori o ex assessori di Tireste e dell'intera regione

sabato 8 settembre 2012

IL GRANDE GIOCO DI TRIESTE SULL'AFGHANISTAN


“AFGHANISTAN, OLTRE IL GRANDE GIOCO”


INCONTRI, TESTIMONIANZE, RIFLESSIONI

DOCUMENTARI E FOTOGRAFIE


Trieste, Auditorium dell’Ex Pescheria - Salone degli Incanti

7, 8 e 9 settembre 2012

PROGRAMMA definitivo

venerdì 7 settembre 2012

ore 17.00 Roberto Cosolini, Sindaco di Trieste, Saluto
Alberto Cairo, “20 anni in Afghanistan"
Monika Bulaj, curatrice di "Afghanistan, oltre il Grande Gioco"

ore 19.00 Hermann Kreutzmann e Fabrizio Foschini
“Luci e ombre nel Pamir afgano”
introduce Emanuele Giordana

ore 21.00 Giovanni De Zorzi, “Musiche d’Afghanistan. Note per un paesaggio sonoro”

ore 22.30 proiezione del film "Ustad Rahim. Herat's rubab maestro" di John Baily, Afghanistan 1994, 55’, sottotitoli in inglese


sabato 8 settembre 2012

ore 11.00 Presentazione dei due volumi sull'Afghanistan:
Andrea Angeli, “Senza Pace: Da Nassiriyah a Kabul. Storie in prima linea”
Antonio De Lauri, “Afghanistan. Ricostruzione, ingiustizia, diritti umani”
modera Emanuele Giordana

ripresa lavori

ore 17.00 Sergio Ujcich, “Il Sufismo”
Alexandre Papas, “La mistica musulmana in Afghanistan”
introduce Monika Bulaj

ore 19.00 Monika Bulaj, “Oltre il Grande Gioco. Immagini e storie di un’umanità ignorata”


ore 21.00
Grazia Shogen Marchianò, "Sulla soglia delle 'cose ultime' a Oriente e Occidente: una meditazione in parole"

Soraya Malek, “L’emancipazione femminile negli anni Venti”
modera Giuliano Battiston

ore 23.00 proiezione di cortometraggi presentati alla sezione Afghanistan di Universo Corto, Elba Film Festival 2012/Afgana/Afghan Voices
“Before i was good” di Masoud Ziaee, 11.54’
cortometraggio vincitore
“Light in the cave” di Sayed Suleiman Amanzad, 7.54’
“Look who is driving” di Airokhsh Faiz Qaisary, 8.26’


domenica 9 settembre 2012


ore 10.00 Giovanni Pedrini, “Il buio albeggia da Oriente. Identità e culture del Pamir afghano”

ore 12.00 Enrico De Maio, Thomas Ruttig e Fabrizio Foschini
"Dentro il Grande Gioco. Il futuro dell'Afghanistan dopo l'uscita di scena dei militari"
modera Giuliano Battiston

ripresa lavori

ore 17.00 Mario Dondero, “Testimone di un secolo di fotografia italiana racconta il suo viaggio in Afghanistan”
Rossella Vatta e Raul Pantaleo , “Impegno sul campo di EMERGENCY”
modera Emanuele Giordana

ore 19.00 Emanuele Giordana, Soraya Malek, Giuliano Battiston
“Né talebani né signori della guerra, la terza via della società civile afgana”

ore 21.00 Nazhend Behbudi, Genni Fabrizio, Veronika Martelanc e Aluk Amiri
”Storie di questo mondo. Profughi afgani in Europa”
modera Monika Bulaj

ore 23.00 proiezione del film/documentario “In This World - Cose di questo mondo”, di Michael Winterbottom, Gran Bretagna 2002, 90’ Orso d’oro al Festival di Berlino 2003




Durante le pause del convegno verrà proiettato il film “BACHA BAZI” (The dancing boys of Afghanistan), di Najibullah Quraishi, che tratta il delicato tema dello sfruttamento sessuale di giovani ragazzi afgani.

….

ANDREA ANGELI, ex portavoce dell’Unione Europea e di EUPOL in Afghanistan, autore dei volumi "Professione Peacekeeper" e "Senza Pace"; è portavoce del sottosegretario agli Esteri, Staffan De Mistura.
GIULIANO BATTISTON, ricercatore e giornalista freelance, collabora con quotidiani e riviste, tra cui Il Manifesto e Lo Straniero. Coordina il sito di informazione economica www.sbilanciamoci.info e cura il programma del Salone dell'editoria sociale di Roma. In Afghanistan ha realizzato due ricerche: sulla societa' civile e sulla percezione delle truppe straniere. Ne sta realizzando una terza per il network "Afgana".
MONIKA BULAJ, fotografa e scrittrice, collabora con La Repubblica, Il Corriere della Sera, National Geographic, GEO, Il Piccolo. Ha esposto in molte città del mondo tra cui New York, Il Cairo e Roma. Per il suo lavoro ha ricevuto il Premio Chatwin, The Aftermath Project Grant, TED Fellowship, Premio Luchetta-Hrovatin, Premio Tomizza.
ALBERTO CAIRO, fisioterapista e scrittore. Vive a Kabul da 20 anni. Lavora per il Comitato Internazionale della Croce Rossa. Autore di “Diari di Kabul” e “Mosaico Afgano” entrambi per Einaudi. Pratica la “discriminazione positiva”: nei centri ortopedici del CICR in Afghanistan sono i disabili che riabilitano altri disabili. E’ stato candidato per il Premio Nobel per la Pace nel 2010.
ANTONIO DE LAURI, ricercatore, ha curato il volume “Poesie afgane contemporanee. Un percorso tra le vie della conoscenza” ed è autore del libro “Afghanistan. Ricostruzione, ingiustizia, diritti umani” nel quale analizza i limiti del tentativo di ricostruzione giuridica e giudiziaria in Afghanistan.
ENRICO DE MAIO, diplomatico, già ambasciatore d'Italia in Pakistan e Afghanistan. E’ stato tra gli organizzatori della prima conferenza di Bonn, nel 2001, dopo la caduta dei talebani.
GIOVANNI DE ZORZI, suonatore di flauto ney e docente di Etnomusicologia all'Università Ca' Foscari di Venezia. Si occupa di musica classica e sufi di area ottomano-turca, iranica e centroasiatica; alterna l’attività concertistica, in solo o alla guida dell'Ensemble Marâghî , con la ricerca, la scrittura, la direzione artistica di programmi musicali e la didattica.
MARIO DONDERO, fotografo e giornalista, è considerato il padre del fotogiornalismo italiano. Ha lavorato per diverse testate nazionali ed estere e ha tenuto centinaia di mostre dei suoi lavori che vanno dalla descrizione della realtà sociale in Europa dal dopoguerra a oggi alla documentazione di conflitti in varie parti del mondo. Ha anche documentato la scena letteraria, artistica e cinematografica del continente europeo.
FABRIZIO FOSCHINI, laureato in Storia Orientale all'Università di Bologna, lavora in Afghanistan, da più di due anni, come ricercatore all’Afghanistan Analysts Network di Kabul, forse il più accreditato centro di ricerca sulle tematiche politiche del Paese.
EMANUELE GIORDANA, cofondatore di Lettera22, direttore del mensile "Terra", è uno dei conduttori di Radiotre Mondo a Rai Radio3 e tra i portavoce dell'iniziativa "Afgana", rete italiana della società civile che, nel 2011, ha ricevuto il Premio per la Pace Tiziano Terzani.
HERMANN KREUTZMANN, professore di Geografia Umana, direttore del Centro di studi sullo sviluppo, direttore dell’Istituto di Scienze Geografiche presso la Freie Universitat Berlin, ha una pluriennale esperienza di ricerca sul campo nelle regioni dell’Asia centro-settentrionale; attualmente è consigliere e ricercatore principale del Competence Network “Crossroads Asia”, finanziato dal Bundesministerium für Bildung und Forschung.
SORAYA MALEK, principessa afgana discendente del re riformatore Amanullah, (esiliato in Italia e morto in Europa agli inizi del secolo scorso), fa parte della rete “Afgana”.
GRAZIA SHOGEN MARCHIANO’, studiosa di estetica comparata e studi indiani e buddhisti, già professore ordinario di Estetica e Storia e Civiltà dell'Asia orientale, è stata testimone e interprete del cozzo fra le forze che innescano ma anche distruggono la luce interiore, invocata da ogni mistica come la vera mèta; in un monastero shingon giapponese è stata iniziata alla meditazione profonda; presidente dell’AIREZ, l’Associazione nel nome di Elémire Zolla, ne cura l’Opera omnia e ne ha scritto, per Marsilio, la biografia intellettuale ” Il conoscitore di segreti”.
RAUL PANTALEO, architetto e grafico, da anni svolge la sua attività professionale e di ricerca nell'ambito della progettazione partecipata bioecologica e della comunicazione sociale, collaborando con organizzazioni del terzo settore. Fortemente impegnato nei progetti di Emergency, ha progettato e realizzato diversi centri sanitari in vari paesi africani, tra cui il Centro Salam di Karthoum che ha rappresentato l'Italia alla Biennale di architettura 2010.
ALEXANDRE PAPAS, ricercatore al Centre National de la Recherche Scientifique di Parigi, storico dell'Islam e dell'Asia centrale; nel 2006 ha ricevuto il premio per la miglior tesi di dottorato all'Istituto per lo studio dell'Islam e le società del mondo musulmano; si occupa di misticismo Sufi, venerazione del sacro e di questioni politico-religiose in Asia centrale dal XVI secolo ad oggi.
GIOVANNI PEDRINI, antropologo e orientalista, responsabile del progetto di ricerca "Identità etniche e frontiere culturali nel Wakhan Pamir” dell'Università Ca' Foscari di Venezia.
THOMAS RUTTIG, fondatore di Afghanistan Analysts Network è a capo del più vecchio e autorevole centro di ricerca storico politica dell'Afghanistan con base a Kabul ed è un analista molto ascoltato in Germania e conosciuto a livello internazionale.
SERGIO UJCICH, portavoce ufficiale del Centro Culturale Islamico di Trieste e del Friuli
ROSSELLA VATTA, infermiera pediatrica dell’IRCCS materno infantile Burlo Garofolo di Trieste, ha lavorato come volontaria di Emergency nel Centro di maternità dell'Ospedale di Anabah in Panjshir.

Per l’ evento speciale “Storie di questo mondo. Profughi Afgani in Europa”:

NAZHEND BEHBUDI, per Save the Children
GENNI FABRIZIO,per Tenda per la Pace e i Diritti
VERONIKA MARTELANC, per UNHCR, membro della Comissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale presso la Prefettura di Gorizia
ALUK AMIRI, artista, autore dei film: "Nei sogni dei miei piccoli sogni" e "Benvenuti in Italia. Un altro sguardo sull'accoglienza".



Seguiranno proiezioni di film e di documentari.


MOSTRA

“Nel giardino luminoso dell’Afghanistan ho seguito d’istinto i suoi sentieri, trovando focolai di speranza nei luoghi più insperati, nel fondo più nero della disperazione”.


NUR/LUCE. Appunti afgani è una mostra della fotoreporter Monika Bulaj, che dopo essere stata presentata a Venezia nella Loggia di Palazzo Ducale e a Roma alle Officine Fotografiche, viene ospitata a Trieste, nella suggestiva cornice dell’ex Pescheria - Salone degli Incanti, arricchita da nuove immagini e testi, interventi negli spazi aperti della città e un convegno tematico.

venerdì 3 agosto 2012

LUCI AFGANE A TRIESTE


A Trieste, fotografie, testi, voci e suoni di Monika Bulaj, una mostra multimediale promossa e realizzata dal Comune di Trieste dal 4 agosto al 23 settembre 2012 a Trieste nell'ex Pescheria - Salone degli Incanti

Oggi pomeriggio l'inaugurazione

Per vedere la mostra (sino al 30 settembre) da lunedì a venerdì dalle 17 alle 23, sabato, domenica e festivi dalle 10 alle 23

martedì 30 giugno 2009

AFGHANISTAN, COSA NE PENSO DELLA GUERRA

STALLO AFGANO è il titolo che ho dato a un contributo per la newletter del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente, un'organizzazione e un sito che mi piace e che è pieno di spunti e risorse. Mi ha così dato l'occasione di riflettere su quanto è avvenuto a Trieste ma anche su quello che forse si potrebbe fare. Insomma, come la penso su questa guerra. In effetti...

...Chi sperava che il vertice dei ministri degli Esteri del G8, riunitosi a Trieste dal 25 al 27 giugno, indicasse una nuova strategia per superare la guerra in corso in Afghanistan dal 2001 è rimasto deluso.

Il G8 e l'AfPak

La Conferenza, che avrebbe dovuto essere dedicato soprattutto alla stabilizzazione dell'AfPak (l'acronimo con cui si indicano Pakistan e Afghanistan ormai ritenute un insieme geopolitico), si è in realtà occupata del conflitto con una riunione informale allargata solo nel pomeriggio del penultimo giorno e nella mattinata dell'ultimo, così che nella dichiarazione finale del summit, resa nota già venerdi, i capi della diplomazia mondiale di tutto hanno parlato (dall'Iran alla pirateria) ma senza far menzione della guerra.
Quanto alla riunione “informale” che ha concluso i lavori del vertice, il suo unico merito sembra esser stato quello – il che certo non è poco ma neppure molto – di aver fatto sedere allo stesso tavolo 24 paesi, che si sono trovati d'accordo – come ha spiegato il ministro Frattini – nel dare avvio a un processo virtuoso di maggior "coerenza e concretezza" negli sforzi verso l'Afghanistan che fino a oggi, ha ammesso il ministro, "non sempre sono stati coordinati fra di loro". Ma oltre a spiegare che l'Afghanistan, rimane "un'area di preoccupazione" per la comunità internazionale e che, in quanto tale, merita "aiuto, sostegno e incoraggiamento" attraverso una più stretta "collaborazione regionale" con il coinvolgimento anche dei paesi vicini, il summit non sembra aver partorito molto di più. Non solo: la macroscopica assenza di Teheran – che ha declinato l'invito triestino – potrebbe persino far pensare che il vertice sia in gran parte fallito. Di che collaborazione dei paesi vicini si può infatti parlare se manca l'Iran, la nazione più importante con il Pakistan, tra quelle confinanti?. Frattini ha spiegato che "l'Iran è solo uno dei molti paesi vicini, tutti gli altri hanno collaborato costruttivamente" e ha aggiunto che "ci sono temi come il traffico di droga sul quale credo che l'Iran abbia grande interesse a cooperare e spero che in futuro coopererà". Un auspicio, niente di più. Ma non è tutto.

Assenze ingombranti


La guerra in Afghanistan si può definire in molti modi: un conflitto interno tra gruppi insurrezionalisti che combattono un governo centrale debole appoggiato da forze straniere; la prima vera guerra che impegna la Nato fuori dai suoi “confini naturali”; una “guerra americana”. Tutti gli elementi di analisi porterebbero a considerare quest'ultima accezione come la più corretta. Gli Stati Uniti hanno in Afghanistan una missione militare (Operation Enduring Freedom, Oef) che sfugge al comando di Isaf/Nato, autorizzato a operarvi da un mandato del Consiglio di sicurezza; controllano la leadership afgana (come si evince dalle manovre attorno alle candidature per le presidenziali di agosto); sono il maggior donatore sul piano militare e civile; la loro influenza sugli alleati occidentali è fortissima.
Il basso profilo tenuto dagli Stati Uniti a Trieste, dove per motivi di salute il segretario di Stato Clinton si è fatta sostituire da un funzionario del Dipartimento di Stato, ha corroborato l'opinione che solo Washington sia effettivamente in grado di indicare una strategia. E che in sua assenza, gli europei – e non solo loro – non siano in grado di indicare non soltanto una via d'uscita (exit strategy, una locuzione che si fa sempre più strada nel parlamento statunitense e nella stampa americana) ma nemmeno i nodi principali del conflitto: il quadro del processo di riconciliazione nazionale (cioè il dialogo con i talebani); il problema delle stragi di civili; la convivenza del doppio mandato tra Isaf/Nato e Oef; una miglior cooperazione allo sviluppo che incida sulla vita degli afgani e aumenti un consenso alla presenza occidentale decisamente in declino; una precisa svolta che superi la mera “opzione militare”.
Benché la nuova amministrazione americana abbia iniziato ad affrontare tutti questi punti (apertura sul negoziato, promozione del cosiddetto “civilian surge”, consistenza della spesa in cooperazione e infine una ridefinizione della strategia militare che limiti i raid aerei e le vittime civili) essa appare ancora nebulosa e, soprattutto, prigioniera dello scontro tra le nuove idee di Obama e dei suoi consiglieri (tra cui Ahmed Rashid e il professor Rubin Barnett), i settori del Pentagono e del Dipartimento di Stato ancora fedeli alle tattiche del suo predecessore e una macchina della guerra che sembra ormai autoalimentarsi. Se dunque a questa nebulosa, non priva di spunti interessanti e importanti, si associa l'incapacità europea sia di sostenere adeguatamente la nuova politica americana sia di consigliarla al meglio, l'impressione che se ne ricava è che ormai il conflitto sia in una fase di stanca, di stallo diplomatico e di impasse militare, condito da una totale mancanza di una strategia (europea) che ne possa indicare il superamento. La macchina insomma sembra assai logora.

Quale svolta?

Poiché l'impasse, politico, diplomatico e di consenso, esiste fortunatamente anche dall'altra parte del campo, segnatamente nelle file di una guerriglia disomogenea e, al momento, incapace di creare un fronte comune tra le sue diverse anime, il momento non potrebbe essere più opportuno per tentare una svolta definitiva di cui l'Europa, il maggior contributore della coalizione, dovrebbe farsi promotrice. Come articolarla?
Il negoziato tra il governo e i talebani è una realtà, per quanto fragile, già in atto da diversi mesi e si è allargato ad altre figure come quella di personaggi del calibro di Hekmatyar. Il processo andrebbe rafforzato, spiegato alla società civile (in molti casi contraria a scendere a patti con l'ancién regime in turbante), coadiuvato dallo studio di strumenti legislativi adeguati e da un piano di assorbimento dei futuri ex guerriglieri. La “ownerwrship afgana”, da più parti sbandierata, andrebbe affettivamente rafforzata e resa efficace (qualche segnale in questa direzione già c'è) con un piano di lungo termine che preveda la presenza di consiglieri ma che effettivamente consegni al governo afgano (cosa che al momento non è) la direzione degli affari di stato - e la gestione della sicurezza - anche attraverso il ripristino delle strutture di consultazione tribale (loya jirga) destrutturate o private di potere dall'amministrazione “controllata” messa in campo dagli occupanti; una revisione dei piani di cooperazione con investimenti mirati ai bisogni primari reali (sanità in primis, educazione, servizi come acqua e luce, controllo dell'ambiente); la costruzione di un archivio e di un catasto che si accompagni a una riforma agraria, vero nodo di tutti i conflitti afgani e primo tassello della guerra alla produzione dell'oppio e al narcotraffico; un piano di costruzione di strumenti di democrazia “dal basso” in una società in cui, attualmente, il potere rappresentativo è in mano ai vecchi comandanti mujaheddin protetti da una legge di amnistia.
Infine, sul piano militare, senza prevedere un ritiro immediato delle truppe - che consegnerebbe il paese, nella situazione attuale, a una nuova stagione di caos e di guerra civile - andrebbero sempre più ridotte le azioni militari occidentali, prefigurando un cessate il fuoco unilaterale e restituendo all'Isaf il suo primigenio mandato, quello di una presenza di stabilizzazione. Un'idea impossibile però se prima non si chiarisce ruolo e autorità delle due missioni (Nato e Oef) che attualmente convivono parallele in un conflitto che non ha una direzione né un unico comando operativo. Una confusione pericolosa che sinora ha fatto gravissimi danni di cui, soprattutto i militari europei, sono ben consci. Anche se nessuno di loro ha il coraggio di ammetterlo pubblicamente.

Vai al sito del Cipmo

domenica 28 giugno 2009

LA GUERRA E IL TOPOLINO DI TRIESTE

La diplomazia italiana la considera una sua vittoria e probabilmente anche un recupero sulle critiche piovute sulla dichiarazione del G8 dei ministri degli Esteri conclusosi ieri a Trieste, e resa nota venerdi, accusata di esser stata molto blanda sull'Iran e priva di indicazioni sull'Afghanistan. Ma dalla riunione “informale” e allargata sull'AfPak (acronimo che indica Afghanistan e Pakistan) - tenutasi tra venerdi sera e ieri mattina nella città friulana - qualcosa sarebbe uscito anche se, in realtà, sembra trattarsi più di un'indicazione di metodo che non di merito.
Trieste attesta che l'appuntamento della diplomazia (24 paesi) avrebbe stabilito una nuova azione coordinata verso l'Afghanistan da parte di tutti i paesi in qualche modo interessati alla stabilizzazione della regione. Così sintetizza il ministro degli Esteri Franco Frattini, in partenza per Corfù per il vertice Nato-Russia in cui è stato preceduto, a sorpresa, da Berlusconi.

Grazie alla tre giorni a Trieste – dice il ministro - può esserci adesso più «coerenza e concretezza» negli sforzi verso l'Afghanistan che fino a oggi «non sempre sono stati coordinati fra di loro». L'Afghanistan, aggiunge Franco Frattini, rimane «un'area di preoccupazione» per la comunità internazionale che però merita «aiuto, sostegno e incoraggiamento» attraverso una più stretta «collaborazione regionale» con il coinvolgimento anche dei paesi vicini.
Il capo della diplomazia italiana dice in sostanza quel che si va ripetendo da anni e la sua sintesi sembra più che altro far stato dell'avvio di un processo regionale negoziato, per altro già in corso, che sembra restar tanto più faticoso quanto più è stata sottolineata la grande assenza di Teheran. Frattini minimizza: «l'Iran è solo uno dei molti paesi vicini, tutti gli altri hanno collaborato costruttivamente» e aggiunge «ci sono temi come il traffico di droga sul quale credo che l'Iran abbia grande interesse a cooperare e spero che in futuro coopererà». Berlusconi da Corfù aggiunge la ciliegina: «Adesso abbiamo bisogno anche della federazione russa per l'Afghanistan, visto il suo ruolo centrale nella regione da cui potrebbero partire le missioni terroristiche». Un'ultima novità: per le presidenziali Roma manderà 500 soldati, 100 in più del previsto.

Il summit però sembra aver tralasciato i temi veri: dove va la guerra e dove va, se c'è, il negoziato, internazionale ma soprattutto interno, per certificarne la fine. Esiste insomma una strategia o, per meglio dire una exit strategy, seppur sotto banco invocata persino dagli americani? Una mezza novità arriva da Kabul dove il presidente Hamid Karzai ha ieri fatto appello ai «fratelli talebani» perché si registrino nelle liste elettorali e si rechino a votare alle elezioni presidenziali e provinciali di fine agosto. Frattini apprezza e, dice, la strategia di Karzai per qualche forma di riconciliazione nazionale è «da incoraggiare fortemente». In fondo anche questo è un segno dei tempi. Ma da Trieste non esce molto di più soprattutto su una strategia di riconciliazione nazionale che faccia tacere le armi. La montagna, anche questa volta, partorisce un topolino.

Intanto però la guerra va avanti. Ieri un ennesimo ordigno è esploso al passaggio di una pattuglia di militari italiani a 40 chilometri a NordEest di Farah, nell'Ovest dell'Afghanistan, area di competenza del Comando Ovest di Isaf/Nato comandato dagli italiani: nessuno è rimasto ferito grazie alla blindatura del Lince su cui viaggiavano anche se il mezzo è stato invece gravemente danneggiato. E non è stato l'unico episodio: un attacco con armi automatiche è avvenuto sempre nella stessa area di Farah mentre una pattuglia di paracadutisti della Folgore era in perlustrazione. Quanto al primo incidente, la pattuglia si stava recando nella località di Bala Bolok dove una caserma dell'esercito afgano era stata assaltata da un gruppo di guerriglieri.
Bala Bolok è il luogo dove, agli inizi di maggio, un raid a tappeto dell'aviazione americana ha fatto strage di civili per colpire dei talebani: sarebbero almeno 140 secondo le autorità locali (bilancio respinto al mittente dai militari Usa), la strage numericamente più rilevante dall'inizio della presenza occidentale (2001) in Afghanistan.

L'attacco agli italiani (che bombardamenti non ne fanno) rientra nella gran confusione che circonda la due missioni parallele: Isaf/Nato (cui partecipa anche Roma) e Enduring Freedom (Oef, a sola partecipazione americana) completamente disgiunte (benché, si dice, coordinate) come catena di comando e decisioni operative. Ma a Trieste di questo, uno dei maggiori problemi della guerra e che rimanda alle responsabilità per le stragi di civili, non si è fatto parola. Come al solito. As usual, direbbero gli americani.

mercoledì 24 giugno 2009

SE FUORI DALLA PORTA..RESTAN ANCHE LE DONNE

Ancora sul vertice di Trieste. Dopo l'Iran anche le donne...restan chiuse fuori. O quasi (la foto è di Romano Martinis, un'anziana signora in un campo profughi di Kabul)

Di cosa si parlerà a Trieste alla Riunione dei Ministri degli Esteri del G8 dedicata all'AfPak visto che uno degli argomenti topici – la presenza dell'Iran e il suo ruolo chiave nella regione – verrà a mancare per l'assenza ormai certa di Teheran? Ieri, recuperando sulla chiusura manifesta dell'Italia alla delegazione iraniana (che comunque non ha nemmeno risposto all'invito) il ministro Frattini ha spiegato che però la “mano resta tesa”, in omaggio alle aperture americane. Tant'è, si parlerà di molte altre cose tranne una: il ruolo delle donne e la loro condizione nei due paesi – Afghanistan e Pakistan - dove la questione di genere è molto spesso liquidata sotto un velo a grate e relegata nelle stanze di casa dove solo gli uomini di famiglia hanno accesso.

Questo almeno a scorrere l'agenda del vertice in calendario da giovedi a sabato in Friuli sull'“iniziativa di stabilizzazione dell’Afghanistan nel quadro della dimensione regionale, con la partecipazione degli attori regionali e internazionali e dei vertici delle organizzazioni internazionali competenti”, come si legge sul sito della Farnesina. In effetti si parlerà di molte cose: proliferazione nucleare, terrorismo, crimine organizzato trans-nazionale e, ovviamente, sicurezza, un mantra ormai ineludibile in ogni summit che si rispetti. Ma non mancheranno l'economia, lo sviluppo, la cooperazione, i rifugiati, la sicurezza alimentare. Persino la pirateria. Tutto fuorché le donne.

La lettura dell'agenda di Trieste ha finito così per farne infuriare parecchie, sia nelle organizzazioni della società civile, sia tra deputate e senatrici del centro sinistra. I maligni dicono infatti che le donne del centrodestra, dentro e fuori il parlamento, hanno avuto l'ordine di scuderia – come si evince da una mozione Pdl-Lega - di tenere la guardia bassa perché di genere e diritti femminili si parlerà solo nel vertice “minore” di settembre – una “coda” del G8 maiuscolo di luglio - in cui farà gli onori di casa il ministro Mara Carfagna. Perché dunque indignarsi tanto adesso se le donne scompaiono tra Trieste e L'Aquila?
Ma nel centro sinistra la lettura dell'agenda friulana e di quella abruzzese ha fatto imbufalire molte parlamentari. Prima fra tutte Rosa Calipari, una delle promotrici della mozione sui diritti di genere, approvata agli inizi dell'anno in parlamento, che impegnava il governo italiano a farne un cavallo di battaglia (si discuteva allora del decreto missioni). A leggere l'agenda, in effetti, di quell'impegno non c'è traccia anche se, in realtà, gli sherpa del ministero hanno lavorato sul tema che però non appare a chiare lettere. A quanto pare infatti, il draft della dichiarazione finale prevede proprio un punto specifico sulle questioni di genere con un impegno, sempre che il suggerimento sia approvato, verso le donne afgane e quelle pachistane. Ma resta da capire perché l'agenda ufficiale non preveda neppure un panel, una sessione, una colazione di lavoro dedicata al tema.

Se a pensar male si fa peccato ma spesso non si sbaglia, verrebbe da credere che il Ministero delle Pari Opportunità abbia fatto pressione per far sparire le donne dal tavolo friuloabruzzese per farle riapparire per magia solo a settembre. Quando l'intero mini summit (A Roma) sarà dedicato a loro. Una volta che il G8 “vero” però sarà già concluso.

martedì 23 giugno 2009

L'IRAN FUORI DALLA PORTA

L'Iran non ci sarà alla Conferenza diplomatica del G8. E in effetti nessuno li vuole gli iraniani a trieste, invitati davvero scomodi. Ma ha senso tener fuori dalla porta Teheran, attore primario din Afghanistan, proprio quando di quel paese si discute?

Se non fosse per Karl Bildt, il ministro degli Esteri della Svezia, paese che avrà la prossima presidenza Ue, il clima che circonda la tre giorni di Trieste, non dei più sereni. Soprattutto per l'inviato numero uno – l'Iran – alla Conferenza diplomatica organizzata dalla presidenza italiana del G8 per discutere, in chiave regionale, del conflitto afgano e delle turbolenze che attraversano il Pakistan. Secondo Bildt «abbiamo interesse a impegnare l'Iran non solo sul dossier nucleare, ma su altre questioni, come l'Afghanistan e il Pakistan», lasciando aperto il canale del dialogo. In una parola, condannare si, ma non chiudergli in faccia la porta di Trieste, dove la Conferenza sull'”AfPak” si terrà da giovedi a sabato prossimo. Ma quella di Bildt è apparsa come l'unica nota fuori da un coro che invece la porta vorrebbe tenerla chiusa, se si esclude il basso profilo degli americani (dovrebbe essere presente la Clinton) mantenuto anche sull'appuntamento di Trieste.

Il fuoco di fila lo inizia il ministro Frattini in mattinata dichiarando che «in un momento del genere, noi non sappiamo quale tipo di contributo l'Iran potrebbe dare alla nostra discussione di venerdì... è una questione di concretezza e pragmatismo». In seguito la Farnesina ha chiarito che si aspettava una risposta da Teheran sull'invito a partecipare al G8 dei ministri degli Esteri di Trieste e che «se entro oggi (ieri per chi legge) non ci sarà una risposta - spiegava il portavoce della “Casa” Maurizio Massari – interpreteremo questa non risposta con una non disponibilità a partecipare ». Inoltre, aggiungeva Massari chiosando il ministro “sarebbe difficile in questa situazione pensare che l'Iran possa portare un valore aggiunto all'esercizio sulla stabilizzazione dell'Afghanistan». Gli faceva eco l'ufficio del portavoce del ministero degli Esteri di Teheran secondo cui – riferiva l'Ansa - l'Iran «non ha ancora deciso» se partecipare (e in effetti la decisione non è arrivata). Tutto in effetti rema contro.

«Credo davvero che sarebbe cosa giusta e saggia ritirare l'invito nei confronti dell'Iran», dice a Radio Radicale la vicepresidente del Senato Emma Bonino, facendosi portavoce di posizioni simili soprattutto nella maggioranza (Fiamma Nirenstein in primis). E se i membri della Ue dovrebbero pensare a convocare gli ambasciatori dell'Iran accreditati nelle rispettive capitali - suggerisce la presidenza di turno (ceca) da Praga - in Italia il centrodestra propone una manifestazione, ovviamente bipartisan (l'idea è del ministro Bondi), che già raccoglie le prime adesioni. Difficile per un governo mandare i suoi emissari in presenza della convocazione del suo ambasciatore e mentre il Palazzo italiano manifesta contro quello iraniano...

A sinistra si resta più cauti, forse continuando a pensare che, anche se molto delegittimato, il governo dell'Iran è, in Afghanistan, pur sempre un attore primario e del quale è difficile fare a meno. Solo Gianni Vernetti del Pd, proponendo uno scenario cileno, chiede di aprire la nostra ambasciata a feriti e oppositori perseguitati dal regime. Bildt che direbbe? Certe cose forse è meglio farle senza dirle. Questione di concretezza e pragmatismo, come ha detto Frattini.