La
Nato ricatta gli afgani: niente patto militare niente soldi per lo
sviluppo. Governo e parlamento come si schierano? Cosa bolle in pentola per l'inizio dell'anno. A Roma e a Kabul
Il
9 dicembre la Gazzetta ufficiale ha sancito la conversione in legge
del “decreto missioni” che regola la
proroga della partecipazione a queste ultime delle nostre Forze
armate. Il capitolo che riguarda l'Afghanistan vale 124 milioni di
euro per un periodo di copertura di pochi mesi poiché sistema la
legge precedente che non arrivava a coprire l'intero 2013. In poche
parole, da gennaio il parlamento dovrà ridiscutere e approvare un
nuovo decreto e definire, cosa al momento ancora opaca, l'esatto
impegno numerico di soldati e carabinieri per la nuova missione Nato
“Resolute support”, che dal 2014 dovrebbe sostituire “Isaf”.
Il condizionale è d'obbligo perché la missione dell'Alleanza –
missione “non combattente” ma di solo sostegno alla formazione di
esercito e polizia afgani – è in forse.
Tutta
la vicenda è legata alla firma del presidente Karzai sull'accordo di
partenariato strategico con gli Stati uniti (Bsa), negoziato tra
Washington e Kabul e approvato in via preliminare dalla Loya Jirga,
l'assemblea tradizionale riunita dallo stesso Karzai il mese scorso.
Il presidente però si è impuntato su alcuni capitoli molto
controversi che riguardano l'immunità delle truppe americane sul
suolo afgano e, soprattutto, la libertà d'azione di queste ultime
che, legittimamente, Karzai vuole sia sempre sottoposta a veto afgano
se si tratta di compiere raid a danni di privati cittadini. Detto in
altre parole, gli Stati Uniti non potrebbero entrare, perquisire,
arrestare afgani (tanto meno bombardarli) senza la luce verde
dell'autorità militare o di polizia nazionale. Obama ha concesso
quest'ultimo punto ma lo ha vincolato alla possibilità che in “casi
eccezionali” le forze armate americane possano comunque agire.
Veniamo
alla Nato. L'Alleanza ha fatto sapere di essere pronta a firmare con
gli afgani un nuovo patto di partenariato, in sostanza il via libera
a “Resolute support”, a patto che prima sia firmato il Bsa.
Probabilmente la Nato chiederà, oltre pare al controllo di 4 basi,
che l'immunità garantita agli americani lo sia anche ai suoi. Il
braccio di ferro si gioca su un ricatto bello e buono. Niente Bsa,
niente patto con la Nato. Niente Bsa, niente soldi americani ed
europei. Che sono parecchi, perché non ci sono in ballo solo i
miliardi per pagare stipendi, logistica e sostegno alle forze armate
afgane, ma sono a rischio anche i 16 miliardi in 4 anni promessi
nella Conferenza di Tokio per sostenere ricostruzione e sviluppo. Se
la parola ricatto non piace se ne può trovare un'altra (do ut des,
bilanciamento, equilibrio). Lasciamo il termine alla fantasia di
ognuno e veniamo all'Italia.
Qual
è la posizione del governo sulla missione “Resolute Support”?
Quanti uomini intendiamo impegnare, per quanto tempo, con quale
ruolo? E se la vicenda Bsa non si sblocca (difficile che ciò accada
entro la fine dell'anno), Roma è disposta a tagliare, oltre
all'aiuto militare, anche gli «interventi
di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di
ricostruzione»
come pomposamente recita la legge sulle missioni? Rischiano più
della retorica le parole del presidente del Senato a Herat «area
di eccellenza per la ricostruzione anche grazie a voi», come Grasso
ha detto ai soldati, «frutto della sinergia tra forze militari e
civili, tra attività di sicurezza e cooperazione...straordinaria
capacità di fare sistema». Se la sentirebbe Grasso di spiegare agli
afgani che, grazie al ricatto militare, saltano anche sviluppo e
ricostruzione e resta solo la miseria della guerra?
Nelle immagini: La facciata di Palazzo Madama, sede del Senato e, a destra, l'aula della Camera
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