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sabato 10 giugno 2017

L'Afghanistan visto dall'Asia Centrale*

Asia centrale, il cuore dell'Asia
Abstract: The countries of Kazakhstan, Kirghizstan, Turkmenistan, Tajikistan and Uzbekistan define a human and political space strongly influenced by its bordering territories: by Russia, obviously, but also by Pakistan, Iran, and, most importantly, by Afghanistan - a country wretched by forty years of war and generally seen as a threat rather than as a resource. However, interactions between the former five soviet republics and Kabul are unavoidable: the Islamic common denominator, the porosity of borders, the presence of shared norms and practices and the existence of communities, often speaking the same language, further reinforce such belief. Furthermore, in light of future infrastructural developments of road networks, railway lines and, possibly, of energy vectors, partnerships between the five republics and Afghanistan seem the most logical solutions.
Even if each county deals with Kabul its unique way, Kazakhstan, Kirghizstan, Turkmenistan, Tajikistan and Uzbekistan all fear the contagion of war or that of the jihadi message and explain the spread of the politics of Islam within their territories through the failures of the Afghan government. A statement contested both from the inside, with the Afghan government refusing to validate the jihadi narrative, and from the outside: many observers have indeed highlighted how the ‘Afghan danger’ is better understood as a political tool used to repress possible challenges to the political establishment, rather than as an effective threat.
Nevertheless, some positive developments are on their way: negotiations regarding a seemingly difficult partnership between Kabul and the five republics is currently ongoing and further supported, in several instances, by manifestations of international cohesion fostering and financing the expansion of strengthened bilateral agreements.


Le cinque repubbliche di Kazakistan, Kirghizistan, Turkmenistan, Uzbekistan e Tagikistan formano uno spazio umano e politico fortemente influenzato dai Paesi vicini. La Russia, naturalmente, ma anche il Pakistan o l’Iran e, soprattutto, l’Afghanistan, un Paese in guerra ormai da quasi quarant’anni che è visto più come pericolo che come risorsa. Il rapporto con l’Afghanistan è però ineludibile: per il comun denominatore islamico, la porosità delle frontiere, tradizioni comuni e presenza di comunità che spesso parlano la stessa lingua. Un rapporto che ha un senso anche in ragione di un possibile futuro sviluppo di reti stradali, ferroviarie o di vettori di energia. Se ogni Paese ha nei rapporti con Kabul un atteggiamento diverso, tutte le repubbliche ex sovietiche temono il contagio della guerra o del messaggio islamista  e attribuiscono all’Afghanistan la responsabilità  dell'espansione dell’islam politico all’interno dei propri confini. E’ una posizione contestata sia all’interno da chi si ritene ingiustamente accusato di propaganda jihadista, sia all’esterno: molti osservatori infatti ritengono che il “pericolo afgano” venga agitato per consentire la repressione e il contenimento di qualsiasi forma di contestazione delle leadership al potere. Non di meno, alcuni progressi si vedono: è in corso un’operazione di difficile costruzione di una partnership con Kabul aiutata, in molti casi, da esperimenti di coesione internazionale che hanno dato impulso e garantito finanziamenti per l’espansione di rapporti bilaterali più saldi.

* Questo articolo è stato pubblicato su IL POLITICO (Univ. Pavia, Italy) 2016, anno LXXXI, n. 3, pp. 136-149 (le note al testo sono contenute nell'edizione cartacea)

giovedì 6 aprile 2017

Le mire di Mosca e l’islam radicale in Asia Centrale

Samarcanda, piazza Registan.
Sotto una mappa dell'Uzbekistan
L’ondata di arresti seguita ai fatti di San Pietroburgo porta dritta a una pista che dalla tradizionale rotta ceceno-daghestana arriva in Asia Centrale, la nuova frontiera da cui Mosca teme adesso un’ondata di violenze dirette o meno che siano dal Califfato di Raqqa. Un progetto che peraltro non ha fatto molta strada nell’Azerbaijan o nelle cinque repubbliche dell’ex Urss ai confini orientali di quel che fu l’Impero zarista e poi l’Unione sovietica. Eppure, se un timore islamista esiste, sono proprio le turbolente aree caucasiche ancora sotto diretto dominio russo a impaurire gli Stati orientali che temono un contagio dal Daghestan o dalla Cecenia anche se pubblicamente non lo ammettono. La bestia nera delle cinque repubbliche dell’Asia centrale è invece, pubblicamente, l’Afghanistan, la terra dei talebani, agitata come uno spauracchio per reprimere il dissenso islamista e non. Per Mosca l’Asia centrale resta comunque una preoccupazione perché il controllo di quelle terre gli è ormai in gran parte sfuggito di mano anche se gli accordi con la Russia prevedono la difesa militare dei confini in caso di conflitto. Lo si è visto con la presa di Kunduz in Afghanistan per alcuni giorni nel 2015. Sui confini è scattata l’allerta e una massiccia presenza di militari russi.

venerdì 15 luglio 2016

Afghanistan: esequie di Stato per il processo di pace

Arthur Conolly: finì ucciso
 dall'emiro di Bukhara
Dopo che  Obama ha deciso di rallentare l'uscita delle truppe americane dall'Afghanistan, la Nato ha reiterato il prolungamento della sua missione oltre il 2016 e il governo di Kabul ha spiegato che non ha alcuna intenzione di rivitalizzare il processo di pace, lo stallo è più che evidente. Qui di seguito un'analisi* che cerca di fare il punto della situazione

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Com’è noto la locuzione “Grande Gioco” - Great Game – si deve al britannico Arthur Conolly. Era uno dei tanti esploratori, diplomatici, spie al servizio di Sua Maestà britannica e aveva dato questo nome all’intrigo che dal 1800 aveva opposto soprattutto britannici e russi, ma anche francesi, persiani, afgani, circassi o turcmeni, che durante due secoli si erano combattuti, spiati, alleati e traditi in vista della grande posta in gioco: la conquista, o la conservazione della conquista, dell’India e, in molti casi, della propria indipendenza dalle mire russe o britanniche in Asia. Quello che in tempi recenti è stato chiamato Nuovo Grande Gioco sembra assomigliare alla primigenia edizione, benché la posta in gioco sia ovviamente mutata e così le tecniche per raggiungerla, ma mai come oggi sembra più appropriato il termine che aveva scelto un ministro dello Zar per descrivere quella guerra prolungata e non sempre guerreggiata senza esclusione di colpi: torneo delle ombre. Oggi come allora si agitano infatti, sullo sfondo del conflitto afgano, delle violenze in Pakistan, dei sommovimenti nel Caucaso, in Tagikistan, in Uzbekistan o nel Turkestan cinese, protagonisti e comprimari spesso in ombra assai più che tra l’800 e il 900. Sicuramente il campo di battaglia primario resta l’Afghanistan, ed è su questo campo di battaglia che porremo la nostra attenzione ma senza dimenticare le ombre che lo circondano. Metteremo assieme qualche idea e molte domande senza aver la pretesa di indicare risposte ma cercando di mettere in fila alcuni interrogativi che, oggi come allora, coinvolgono le grandi potenze regionali, gli Stati confinanti dal Caspio alla Cina, e le superpotenze che, adesso come un tempo, sono interessate al controllo di questo pietroso Paese senza sbocco al mare, quasi privo di gas e petrolio e con ricchezze minerarie ancora poco esplorate e comunque di difficile estrazione. Porremo la nostra attenzione soprattutto sull’Afghanistan per un semplicissimo motivo: la guerra – o la stagione di conflitto perenne iniziata con l’invasione sovietica del 1979 (quasi quarant’anni fa) – è ben lungi dall’esser terminata e assiste anzi a una ripresa che, solo in termini di vite umane, è diventata più esigente da quando la missione Isaf Nato si è ritirata – sostituita dalla più mite missione dell’Alleanza “Resolute Support” – nel dicembre 2014. Il fatto che la guerra afgana sia uscita dai riflettori della cronaca è solo – se mai ce ne fosse bisogno – l’indicazione che – per citare un vecchio adagio pacifista – la prima vittima della guerra è la verità. La guerra infatti non è affatto finita e gode anzi – ci si perdoni l’iperbole - di ottima salute.

Attori, comprimari, obiettivi

Non è difficile elencare i motivi per i quali l’Afghanistan desta interesse o apprensione e si presta ad essere un terreno di gioco più o meno eterodiretto. E’ facile comprenderlo per gli Stati confinanti.