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giovedì 3 ottobre 2024

Il nostro ricordo di Gianni Rufini tre anni dopo


 
Amnesty International, ActionAid e Oxfam, in collaborazione con Medici Senza Frontiere, sono lieti di invitarti all’evento “Dialoghi su pace e diritti. Giornata in ricordo di Gianni Rufini” che si tiene domani a Roma venerdì 4 ottobre 2024, dalle ore 9.30 alle 17.30, allo Spazio Europa in via Quattro Novembre 149.

Una giornata ricca di spunti di riflessione e confronto sui temi delle guerre, delle crisi umanitarie e dei diritti delle persone migranti, argomenti che Gianni Rufini ha sempre sostenuto con passione e impegno. Per Lettera22 partecipiamo io e Paola Caridi
L’evento si concluderà con la consegna del “Premio Gianni Rufini per l’attivismo sui diritti umani,” conferito da Patrick Zaki.
Per accreditarti sarà sufficie

lunedì 6 novembre 2017

Dopo la Rivoluzione (d'ottobre)

C'era una volta la Rivoluzione d'Ottobre. E in occasione del centennale della rivoluzione russa, dal 7 al 10 novembre si terrà a Torino, nel Campus Luigi Einaudi, il convegno internazionale Dopo la Rivoluzione. Strategie di sopravvivenza in Russia dopo il 1917, organizzato dall'associazione Memorial Italia e dall'Università degli Studi di Torino

Il tema del Convegno*

La rivoluzione russa: difficile dire quando è iniziata, quando è finita, e di cosa si è trattato. Il centennale dell'ottobre 1917 diventa occasione per rileggere i fatti di allora rispettandone la complessità e per osservarli con punti di vista differenti. Crisi, rivoluzioni e controrivoluzioni, ritorno all'ordine, caos, fame e violenze si intrecciarono per un lungo periodo, quantomeno dalla prima guerra mondiale agli anni '50. Proprio per discutere e riflettere su aspetti significativi di questo periodo storico, l'associazione Memorial, che in Russia opera per la difesa dei diritti, e l'Università degli Studi di Torino organizzano il convegno internazionale Dopo la rivoluzione. Strategie di sopravvivenza in Russia dopo il 1917 che si terrà a Torino, dal 7 al 10 novembre, nel Campus Luigi Einaudi. Non quindi una commemorazione, ma una riflessione con cent'anni di distacco dalla rivoluzione.

Il convegno è diviso in due parti. Nella prima si affrontano in modo del tutto innovativo gli eventi della rivoluzione; lo studio della guerra civile sul territorio dell'ex-Impero russo ci spiega quanto il paese fosse lontano dagli avvenimenti della rivoluzione: il partito, le discussioni rivoluzionarie, l'organizzazione politica operaia. Nelle periferie dell'Impero la rivoluzione arriva come crollo dello stato, bande armate, fame. La formazione dell'URSS poggia sulla riconquista militare del territorio, sull'imposizione di una dittatura militare-politica, sulla repressione di ogni istanza autonomista e di ogni richiesta di elezioni.
La seconda parte del convegno è dedicata alla sopravvivenza della cultura e al suo rapporto complesso con la rivoluzione. Interverranno studiosi italiani e stranieri, che esamineranno le conseguenze del 1917 da diversi punti di vista, complementari e variegati, a testimonianza della complessità e della varietà di suggestioni intellettuali e culturali del periodo.
Per approfondire questi temi e confrontarsi con studiosi italiani e stranieri appuntamento a Torino dal 7 al 10 novembre nel Campus Luigi Einaudi.

* Riproduco qui la scheda di invito

venerdì 15 luglio 2016

Afghanistan: esequie di Stato per il processo di pace

Arthur Conolly: finì ucciso
 dall'emiro di Bukhara
Dopo che  Obama ha deciso di rallentare l'uscita delle truppe americane dall'Afghanistan, la Nato ha reiterato il prolungamento della sua missione oltre il 2016 e il governo di Kabul ha spiegato che non ha alcuna intenzione di rivitalizzare il processo di pace, lo stallo è più che evidente. Qui di seguito un'analisi* che cerca di fare il punto della situazione

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Com’è noto la locuzione “Grande Gioco” - Great Game – si deve al britannico Arthur Conolly. Era uno dei tanti esploratori, diplomatici, spie al servizio di Sua Maestà britannica e aveva dato questo nome all’intrigo che dal 1800 aveva opposto soprattutto britannici e russi, ma anche francesi, persiani, afgani, circassi o turcmeni, che durante due secoli si erano combattuti, spiati, alleati e traditi in vista della grande posta in gioco: la conquista, o la conservazione della conquista, dell’India e, in molti casi, della propria indipendenza dalle mire russe o britanniche in Asia. Quello che in tempi recenti è stato chiamato Nuovo Grande Gioco sembra assomigliare alla primigenia edizione, benché la posta in gioco sia ovviamente mutata e così le tecniche per raggiungerla, ma mai come oggi sembra più appropriato il termine che aveva scelto un ministro dello Zar per descrivere quella guerra prolungata e non sempre guerreggiata senza esclusione di colpi: torneo delle ombre. Oggi come allora si agitano infatti, sullo sfondo del conflitto afgano, delle violenze in Pakistan, dei sommovimenti nel Caucaso, in Tagikistan, in Uzbekistan o nel Turkestan cinese, protagonisti e comprimari spesso in ombra assai più che tra l’800 e il 900. Sicuramente il campo di battaglia primario resta l’Afghanistan, ed è su questo campo di battaglia che porremo la nostra attenzione ma senza dimenticare le ombre che lo circondano. Metteremo assieme qualche idea e molte domande senza aver la pretesa di indicare risposte ma cercando di mettere in fila alcuni interrogativi che, oggi come allora, coinvolgono le grandi potenze regionali, gli Stati confinanti dal Caspio alla Cina, e le superpotenze che, adesso come un tempo, sono interessate al controllo di questo pietroso Paese senza sbocco al mare, quasi privo di gas e petrolio e con ricchezze minerarie ancora poco esplorate e comunque di difficile estrazione. Porremo la nostra attenzione soprattutto sull’Afghanistan per un semplicissimo motivo: la guerra – o la stagione di conflitto perenne iniziata con l’invasione sovietica del 1979 (quasi quarant’anni fa) – è ben lungi dall’esser terminata e assiste anzi a una ripresa che, solo in termini di vite umane, è diventata più esigente da quando la missione Isaf Nato si è ritirata – sostituita dalla più mite missione dell’Alleanza “Resolute Support” – nel dicembre 2014. Il fatto che la guerra afgana sia uscita dai riflettori della cronaca è solo – se mai ce ne fosse bisogno – l’indicazione che – per citare un vecchio adagio pacifista – la prima vittima della guerra è la verità. La guerra infatti non è affatto finita e gode anzi – ci si perdoni l’iperbole - di ottima salute.

Attori, comprimari, obiettivi

Non è difficile elencare i motivi per i quali l’Afghanistan desta interesse o apprensione e si presta ad essere un terreno di gioco più o meno eterodiretto. E’ facile comprenderlo per gli Stati confinanti.

mercoledì 2 dicembre 2015

Daesh alla conquista del Khorasan

La guerra in Afghanistan gli equilibri regionali e il congelamento del processo di pace: protagonisti e comprimari. Movimenti jihadisti e l'ombra di Daesh. Repressione e confusione*
In Afghanistan l'unica cosa che non è in fase di stallo è la guerra. L'economia langue, è in difficoltà e in calo costante di consensi il nuovo esecutivo – frutto di un accordo perverso che accanto al presidente ha istituito una specie di pari grado con ampi poteri –, la diplomazia nazionale è gravemente ammalata di una sindrome anti pachistana che sfiora l'isteria collettiva. La guerra è invece in piena forma. E su più fronti. Il fronte classico che oppone la disomogenea galassia talebana al governo di Ashraf Ghani (si veda la presa di Kunduz tra novembre e ottobre) e un campo di battaglia interno alla guerriglia: che oppone i talebani – divisi dopo l'annuncio della morte di mullah Omar in luglio – a Daesh, per ora forse rappresentato solo da un manipolo di uomini ma in grado già di controllare, seppur a macchia di leopardo, alcune realtà del territorio.

 Gli attori internazionali – Pakistan e Iran prima di tutto, ma anche Stati uniti, India, Cina e Paesi della Nato, non sembrano avere per ora né una posizione univoca né forse una vera e propria posizione. La Nato e gli americani sono indecisi sulla qualità e quantità dell'impegno futuro e non sembrano aver deciso con esattezza se appoggiare con forza l'ipotesi pachistana (quella cioè di un negoziato interafgano purché in qualche modo si tenga sotto l'egida di Islamabad) o ritentare un'ipotesi di colloqui diretti con la guerriglia, bypassando – come già in passato – gli emissari di Kabul. Teheran è forse meno preoccupata, dopo gli accordi di Vienna, del suo fronte orientale, impegnata com'è a guerreggiare sul fronte occidentale e a difendersi da una politica aggressiva dei sauditi che in Afghanistan però non sembra passare dai talebani ma semmai da Daesh e che per ora si è limitata solo ad alcune esecuzioni eclatanti1. Quanto a Islamabad, i suoi sforzi per avviare il negoziato sono in stallo totale (una prima riunione si è tenuta nell'estate in Pakistan ma poi il processo si è fermato). Dopo le bombe seguite al primo round negoziale2 anche la faticosa costruzione di una fiducia bilaterale con Kabul – messa in opera con l'appoggio di Ghani - è completamente crollata dopo l'ondata di stragi estive e l'Afghanistan è per ora completamente schierato contro il Pakistan, un'opzione alimentata soprattutto dal capo dell'esecutivo Abdullah e dai circoli vicini all'ex presidente Karzai. Gli unici Paesi in cui si nota una certa vitalità diplomatico militare sono a Nord di Kabul, lungo il confine con l'ex Urss dove proprio in questi giorni – avverte un reportage dell'emittente afgana Tolo3 - i russi stanno rafforzando il loro sistema di sorveglianza sui suoi ex confini meridionali e avrebbero sostenuto i tajiki nella decisione di chiudere i passaggi transfrontalieri con l'Afghanistan. In fin dei conti la Russia non ha mai perso la speranza di tornare ad avere un controllo seppur indiretto su questo crocevia interasiatico, sul traffico di droga e sui travasi jihadisti che da lì provengono, con un controllo dunque sulle frontiere delle tre ex repubbliche sovietiche (Tagikistan, Uzbekistan, Turkmenistan) che confinano con l'Afghanistan e che non sono meno preoccupate di Mosca dalla continua ebollizione di un Paese che, col Pakistan, ospita cellule terroristiche e combattenti che provengono dai loro territori e a cui i due Paesi garantiscono, oltre confine, santuari e protezione nonché la possibilità di organizzarsi per progettare azioni di disturbo nelle patrie di origine. Putin si è mosso con prudenza in questi anni ma si è mosso. Probabilmente resta preoccupato dalla permanenza dei soldati americani e della Nato (che a fine anno avrebbero dovuto sensibilmente diminuire e che invece resteranno) e la vicenda di Kunduz (dista 250 km da Dushambe e 200 dalla frontiera uzbeka) non ha che rafforzato le preoccupazioni e fornito il destro per offrire collaborazione alle ex repubbliche sorelle.

giovedì 13 giugno 2013

IL FUTURO NELLA SFIDUCIA E NELLA SPERANZA DEGLI AFGANI

Qualche giorno fa abbiamo dato conto dell'intervento di Elizabeth Winter al convegno internazionale di studi sulla società civile afgana che si è tenuto ad Herat il 6 giugno, organizzato dalla rete Afgana. Al suo – che era per lo più un contributo teoretico - ne sono seguiti diversi altri tra cui quello di Giuliano Battiston, che di Afgana fa parte sin dall'inizio e per la quale ha già realizzato una ricerca precedente sulla percezione che gli afgani hanno del concetto di società civile.

Anche questa volta, benché il tema fosse altro e riguardasse aspettative e speranze ma anche la coscienza del proprio passato, Battiston ha cercato di riferire il punto di vista degli afgani o di quella che definiamo società civile afgana*. Cercheremo qui di riassumerne il focus essenziale prendendo spunto dal suo intervento pubblico a Herat. Il suo personale punto di vista Battiston invece lo ha sottolineato molto brevemente e riguarda la cornice attuale: per noi – dice il ricercatore di Afgana- la transizione rappresenta una grande occasione per introdurre più voci afgane nel processo di decisione politica, assenza che gli afgani per primi lamentano.

Dalla sua ricerca sembra infatti emergere e dominare una senso di sfiducia generale. Che non impedisce la speranza – dice Battiston – ma che rende gli afgani piuttosto disillusi: verso il governo, la comunità internazionale, i talebani. I primi due non sembrano in realtà metterci tutto l'impegno che la transizione e il processo di riconciliazione richiederebbero: agli afgani sembrano sbagliati gli strumenti e gli attori messi in campo dal governo che utilizza un approccio inappropriato e inefficace. Un approccio da “bazar” dove ognuno negozia la sua convenienza personale, ossia la sua agenda particolare e non quella del paese. Discorso in cui rientrano a pieno titolo anche i talebani, sulle cui mosse grava l'ombra e di agenti esterni che ne manipolano i piani. Infine questo mercato è lontano dagli sguardi della gente, è chiuso verso l'opinione pubblica. E' un mercato dove si negozia in segreto e che agli afgani intervistati non sembra dare frutti: ne emerge una figura del popolo afgano che lo disegna come molto cosciente sia della propria identità nazionale sia della scarsa trasparenza dei protagonisti attuali che di coscienza nazionale (intesa come interesse pubblico) non sembrano proprio averne. Così alla maggioranza degli intervistati i processi di reintegrazione e riconciliazione sembrano importanti e fondamentali ma anche inefficaci perché strumentalizzati politicamente dalle varie parti in gioco: il governo per farsi bello dei successi, i talebani approfittandone per fare cassa.

La sfiducia sembra generalizzata su più fronti. Dalla ricerca emerge un evidente timore delle agende di Iran e Pakistan e dunque la fiducia negli americani si brucia nel momento in cui si constata la loro scarsa pressione su Islamabad. Anche i talebani finiscono schiacciati dal peso del Paese dei puri. La ricerca, durata 4 mesi e condotta in 7 province, sembra raccontarci un Paese molto diverso da quello che conosciamo. Certamente Battiston tiene conto e riferisce di colloqui con un'intellighenzia ormai diffusa quanto ineludibile che forse non rappresenta tutto il paese nella sua complessità. Ma che sicuramente ne rappresenta la faccia più attenta e più impegnata civilmente (la società civile organizzata) tanto da restituirci, attraverso le tante testimonianze, un Paese che affronta il suo futuro con lucidità e con le idee chiare.
La pace ad esempio. Ci vuole - dicono gli afgani - un doppio approccio: un processo di pace condotto dall'alto e uno condotto dal basso, una “social peace” che renda effettiva la “poltical peace” delle istituzioni. Ma c'è anche la coscienza che troppi problemi irrisolti, specie se riguardano crimini passati e impunità, lasceranno una pessima eredità sul futuro di un Paese dove la vera pace non si potrà ottenere senza coniugarla alla giustizia. E qui torna la sfiducia. Si riuscirà a conciliare pace e giustizia? La maggioranza giudica questa opzione “irrealistica”.

* “La società civile afghana: pace, giustizia e aspettative per il post-2014” è il titolo della ricerca di Battiston alla conferenza internazionale “Società civile afgana in transizione: ruolo, prospettive, sfide, opportunità”cui hanno partecipato tra gli altri Mirwais Wardak (Afghanistan: PRTO, Peace Training and Research Organization) Elizabeth Winter (Regno Unito: LSE, London School of Economics), Fhiam Akim (AIhrc)

sabato 8 settembre 2012

IL GRANDE GIOCO DI TRIESTE SULL'AFGHANISTAN


“AFGHANISTAN, OLTRE IL GRANDE GIOCO”


INCONTRI, TESTIMONIANZE, RIFLESSIONI

DOCUMENTARI E FOTOGRAFIE


Trieste, Auditorium dell’Ex Pescheria - Salone degli Incanti

7, 8 e 9 settembre 2012

PROGRAMMA definitivo

venerdì 7 settembre 2012

ore 17.00 Roberto Cosolini, Sindaco di Trieste, Saluto
Alberto Cairo, “20 anni in Afghanistan"
Monika Bulaj, curatrice di "Afghanistan, oltre il Grande Gioco"

ore 19.00 Hermann Kreutzmann e Fabrizio Foschini
“Luci e ombre nel Pamir afgano”
introduce Emanuele Giordana

ore 21.00 Giovanni De Zorzi, “Musiche d’Afghanistan. Note per un paesaggio sonoro”

ore 22.30 proiezione del film "Ustad Rahim. Herat's rubab maestro" di John Baily, Afghanistan 1994, 55’, sottotitoli in inglese


sabato 8 settembre 2012

ore 11.00 Presentazione dei due volumi sull'Afghanistan:
Andrea Angeli, “Senza Pace: Da Nassiriyah a Kabul. Storie in prima linea”
Antonio De Lauri, “Afghanistan. Ricostruzione, ingiustizia, diritti umani”
modera Emanuele Giordana

ripresa lavori

ore 17.00 Sergio Ujcich, “Il Sufismo”
Alexandre Papas, “La mistica musulmana in Afghanistan”
introduce Monika Bulaj

ore 19.00 Monika Bulaj, “Oltre il Grande Gioco. Immagini e storie di un’umanità ignorata”


ore 21.00
Grazia Shogen Marchianò, "Sulla soglia delle 'cose ultime' a Oriente e Occidente: una meditazione in parole"

Soraya Malek, “L’emancipazione femminile negli anni Venti”
modera Giuliano Battiston

ore 23.00 proiezione di cortometraggi presentati alla sezione Afghanistan di Universo Corto, Elba Film Festival 2012/Afgana/Afghan Voices
“Before i was good” di Masoud Ziaee, 11.54’
cortometraggio vincitore
“Light in the cave” di Sayed Suleiman Amanzad, 7.54’
“Look who is driving” di Airokhsh Faiz Qaisary, 8.26’


domenica 9 settembre 2012


ore 10.00 Giovanni Pedrini, “Il buio albeggia da Oriente. Identità e culture del Pamir afghano”

ore 12.00 Enrico De Maio, Thomas Ruttig e Fabrizio Foschini
"Dentro il Grande Gioco. Il futuro dell'Afghanistan dopo l'uscita di scena dei militari"
modera Giuliano Battiston

ripresa lavori

ore 17.00 Mario Dondero, “Testimone di un secolo di fotografia italiana racconta il suo viaggio in Afghanistan”
Rossella Vatta e Raul Pantaleo , “Impegno sul campo di EMERGENCY”
modera Emanuele Giordana

ore 19.00 Emanuele Giordana, Soraya Malek, Giuliano Battiston
“Né talebani né signori della guerra, la terza via della società civile afgana”

ore 21.00 Nazhend Behbudi, Genni Fabrizio, Veronika Martelanc e Aluk Amiri
”Storie di questo mondo. Profughi afgani in Europa”
modera Monika Bulaj

ore 23.00 proiezione del film/documentario “In This World - Cose di questo mondo”, di Michael Winterbottom, Gran Bretagna 2002, 90’ Orso d’oro al Festival di Berlino 2003




Durante le pause del convegno verrà proiettato il film “BACHA BAZI” (The dancing boys of Afghanistan), di Najibullah Quraishi, che tratta il delicato tema dello sfruttamento sessuale di giovani ragazzi afgani.

….

ANDREA ANGELI, ex portavoce dell’Unione Europea e di EUPOL in Afghanistan, autore dei volumi "Professione Peacekeeper" e "Senza Pace"; è portavoce del sottosegretario agli Esteri, Staffan De Mistura.
GIULIANO BATTISTON, ricercatore e giornalista freelance, collabora con quotidiani e riviste, tra cui Il Manifesto e Lo Straniero. Coordina il sito di informazione economica www.sbilanciamoci.info e cura il programma del Salone dell'editoria sociale di Roma. In Afghanistan ha realizzato due ricerche: sulla societa' civile e sulla percezione delle truppe straniere. Ne sta realizzando una terza per il network "Afgana".
MONIKA BULAJ, fotografa e scrittrice, collabora con La Repubblica, Il Corriere della Sera, National Geographic, GEO, Il Piccolo. Ha esposto in molte città del mondo tra cui New York, Il Cairo e Roma. Per il suo lavoro ha ricevuto il Premio Chatwin, The Aftermath Project Grant, TED Fellowship, Premio Luchetta-Hrovatin, Premio Tomizza.
ALBERTO CAIRO, fisioterapista e scrittore. Vive a Kabul da 20 anni. Lavora per il Comitato Internazionale della Croce Rossa. Autore di “Diari di Kabul” e “Mosaico Afgano” entrambi per Einaudi. Pratica la “discriminazione positiva”: nei centri ortopedici del CICR in Afghanistan sono i disabili che riabilitano altri disabili. E’ stato candidato per il Premio Nobel per la Pace nel 2010.
ANTONIO DE LAURI, ricercatore, ha curato il volume “Poesie afgane contemporanee. Un percorso tra le vie della conoscenza” ed è autore del libro “Afghanistan. Ricostruzione, ingiustizia, diritti umani” nel quale analizza i limiti del tentativo di ricostruzione giuridica e giudiziaria in Afghanistan.
ENRICO DE MAIO, diplomatico, già ambasciatore d'Italia in Pakistan e Afghanistan. E’ stato tra gli organizzatori della prima conferenza di Bonn, nel 2001, dopo la caduta dei talebani.
GIOVANNI DE ZORZI, suonatore di flauto ney e docente di Etnomusicologia all'Università Ca' Foscari di Venezia. Si occupa di musica classica e sufi di area ottomano-turca, iranica e centroasiatica; alterna l’attività concertistica, in solo o alla guida dell'Ensemble Marâghî , con la ricerca, la scrittura, la direzione artistica di programmi musicali e la didattica.
MARIO DONDERO, fotografo e giornalista, è considerato il padre del fotogiornalismo italiano. Ha lavorato per diverse testate nazionali ed estere e ha tenuto centinaia di mostre dei suoi lavori che vanno dalla descrizione della realtà sociale in Europa dal dopoguerra a oggi alla documentazione di conflitti in varie parti del mondo. Ha anche documentato la scena letteraria, artistica e cinematografica del continente europeo.
FABRIZIO FOSCHINI, laureato in Storia Orientale all'Università di Bologna, lavora in Afghanistan, da più di due anni, come ricercatore all’Afghanistan Analysts Network di Kabul, forse il più accreditato centro di ricerca sulle tematiche politiche del Paese.
EMANUELE GIORDANA, cofondatore di Lettera22, direttore del mensile "Terra", è uno dei conduttori di Radiotre Mondo a Rai Radio3 e tra i portavoce dell'iniziativa "Afgana", rete italiana della società civile che, nel 2011, ha ricevuto il Premio per la Pace Tiziano Terzani.
HERMANN KREUTZMANN, professore di Geografia Umana, direttore del Centro di studi sullo sviluppo, direttore dell’Istituto di Scienze Geografiche presso la Freie Universitat Berlin, ha una pluriennale esperienza di ricerca sul campo nelle regioni dell’Asia centro-settentrionale; attualmente è consigliere e ricercatore principale del Competence Network “Crossroads Asia”, finanziato dal Bundesministerium für Bildung und Forschung.
SORAYA MALEK, principessa afgana discendente del re riformatore Amanullah, (esiliato in Italia e morto in Europa agli inizi del secolo scorso), fa parte della rete “Afgana”.
GRAZIA SHOGEN MARCHIANO’, studiosa di estetica comparata e studi indiani e buddhisti, già professore ordinario di Estetica e Storia e Civiltà dell'Asia orientale, è stata testimone e interprete del cozzo fra le forze che innescano ma anche distruggono la luce interiore, invocata da ogni mistica come la vera mèta; in un monastero shingon giapponese è stata iniziata alla meditazione profonda; presidente dell’AIREZ, l’Associazione nel nome di Elémire Zolla, ne cura l’Opera omnia e ne ha scritto, per Marsilio, la biografia intellettuale ” Il conoscitore di segreti”.
RAUL PANTALEO, architetto e grafico, da anni svolge la sua attività professionale e di ricerca nell'ambito della progettazione partecipata bioecologica e della comunicazione sociale, collaborando con organizzazioni del terzo settore. Fortemente impegnato nei progetti di Emergency, ha progettato e realizzato diversi centri sanitari in vari paesi africani, tra cui il Centro Salam di Karthoum che ha rappresentato l'Italia alla Biennale di architettura 2010.
ALEXANDRE PAPAS, ricercatore al Centre National de la Recherche Scientifique di Parigi, storico dell'Islam e dell'Asia centrale; nel 2006 ha ricevuto il premio per la miglior tesi di dottorato all'Istituto per lo studio dell'Islam e le società del mondo musulmano; si occupa di misticismo Sufi, venerazione del sacro e di questioni politico-religiose in Asia centrale dal XVI secolo ad oggi.
GIOVANNI PEDRINI, antropologo e orientalista, responsabile del progetto di ricerca "Identità etniche e frontiere culturali nel Wakhan Pamir” dell'Università Ca' Foscari di Venezia.
THOMAS RUTTIG, fondatore di Afghanistan Analysts Network è a capo del più vecchio e autorevole centro di ricerca storico politica dell'Afghanistan con base a Kabul ed è un analista molto ascoltato in Germania e conosciuto a livello internazionale.
SERGIO UJCICH, portavoce ufficiale del Centro Culturale Islamico di Trieste e del Friuli
ROSSELLA VATTA, infermiera pediatrica dell’IRCCS materno infantile Burlo Garofolo di Trieste, ha lavorato come volontaria di Emergency nel Centro di maternità dell'Ospedale di Anabah in Panjshir.

Per l’ evento speciale “Storie di questo mondo. Profughi Afgani in Europa”:

NAZHEND BEHBUDI, per Save the Children
GENNI FABRIZIO,per Tenda per la Pace e i Diritti
VERONIKA MARTELANC, per UNHCR, membro della Comissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale presso la Prefettura di Gorizia
ALUK AMIRI, artista, autore dei film: "Nei sogni dei miei piccoli sogni" e "Benvenuti in Italia. Un altro sguardo sull'accoglienza".



Seguiranno proiezioni di film e di documentari.


MOSTRA

“Nel giardino luminoso dell’Afghanistan ho seguito d’istinto i suoi sentieri, trovando focolai di speranza nei luoghi più insperati, nel fondo più nero della disperazione”.


NUR/LUCE. Appunti afgani è una mostra della fotoreporter Monika Bulaj, che dopo essere stata presentata a Venezia nella Loggia di Palazzo Ducale e a Roma alle Officine Fotografiche, viene ospitata a Trieste, nella suggestiva cornice dell’ex Pescheria - Salone degli Incanti, arricchita da nuove immagini e testi, interventi negli spazi aperti della città e un convegno tematico.