Si tratta dunque di una nuova fase della Campagna che da oggi sino a fine mese cercherà di sensibilizzare soprattutto i consumatori. Si inizierà in due città europee: Londra e Milano – capitali internazionali della moda – per proseguire in almeno 24 città nei prossimi giorni. In molte di quelle città ci sono negozi o poli logistici di H&M, ma anche le teste di una filiera di fabbriche e fabbrichette sparse nelle pieghe della globalizzazione mondiale. Una rete fittissima che non esclude il nostro Paese. “Mai avrei immaginato che H&M mi avrebbe stravolto la vita”, ha scritto alla Campagna una lavoratrice che confeziona pacchi di abbigliamento per H&M nel polo logistico di Stradella, in Lombardia. “Nell’enorme magazzino in cui lavoro il turno iniziava alle 4,30 della mattina con nessuna certezza dell’orario di uscita. Tutto era possibile, 4 ore di lavoro come 12”. E’ una donna che ha chiesto l’anonimato per il semplice motivo che XPO, l’azienda che gestisce il polo logistico, ha intentato cause a 147 lavoratori e al sindacato per via delle lotte e delle proteste sulle condizioni di lavoro.
La famiglia di una lavoratrice tessile indiana. Molto lontana dai vestiti che produce |
La settimana globale di mobilitazione – spiegano ad Abiti Puliti, una delle associazioni capofila della Campagna – segna il quinto anniversario delle promesse non mantenute fatte da H&M. L’azienda ribatte che “Con la nostra strategia di salario equo e solidale lanciata nel 2013, raggiungiamo più di 600 fabbriche e 930.000 lavoratori del settore abbigliamento, il che significa che abbiamo superato il nostro primissimo traguardo”. Ma secondo la Campagna, l’azienda non solo non ha rispettato l’impegno assunto ma non si capisce come possa affermare di aver superato i suoi obiettivi. “Chiunque può farlo, se rivendica anche il diritto di modificare l’obiettivo iniziale come meglio crede. Ma non permetteremo che tale ipocrisia passi inosservata”, risponde in una nota la ricreatrice e attivista slovena Neva Nahtigal dell’ufficio internazionale della Clean Clothes Campaign. “Il modello di business di H&M – aggiunge Deborah Lucchetti di Abiti Puliti - sta mettendo sotto pressione i lavoratori e le lavoratrici a diversi livelli della catena di fornitura. Ma chi cuce nelle fabbriche, chi smista i pacchi nei punti logistici e chi è impiegato nei negozi di distribuzione, tutti hanno diritto a un salario dignitoso e a giuste condizioni di lavoro”.
La raccolta delle firme è importante, sottolineano alla Campagna, perché è indice di consapevolezza, oltreché di solidarietà, da parte dei consumatori che così comprendono come funziona la catena di fornitura fino al prodotto finito: da chi taglia e cuce sino a chi impacchetta nei poli logistici o vende nei negozi. La petizione lanciata nell’ambito della campagna “Turn Around, H&M!” ha già raccolto oltre 135.000 firme.
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