I premier italiani hanno smesso di visitare l’Afghanistan lasciando l’incombenza ai ministri della
Difesa. Questi ultimi, ormai vestiti in mimetica come se fossero soldati e non rappresentanti civili di un governo, si guardano bene dall’andare a salutare per primo il presidente afgano in carica. Passano in rivista le truppe e, se va bene, incontrano il loro omologo o, più spesso, i vertici Nato in un Paese dove l’occupazione militare è stata la cifra di una “missione di pace” approvata – di disse allora - per combattere il terrorismo ma anche per sostenere lo sviluppo, la libertà delle donne, i diritti umani. Se la forma è anche sostanza, la beffa di due ministri che battibeccano nientemeno che sulla fine della partecipazione a un conflitto, non è che la logica conseguenza di questo percorso. Debole (perché demanda in realtà agli Stati Uniti la decisione se si debba o meno restare in Afghanistan) e pericoloso (perché abitua i cittadini a pensare che il tema della guerra appartenga soltanto alla sfera militare). Da questo punto di vista, anche la società civile italiana non è esente da critiche. L'associazionismo italiano ha lasciato scorrere l’acqua della guerra afgana – la più lunga della storia recente - come un flusso tutto sommato di ordinaria amministrazione. Distratta da nuovi conflitti (Siria, Kurdistan, Libia) si è dimenticata di quello più vecchia: la madre di tutte le guerre a cavallo del secolo che, nel dicembre prossimo, compirà 40 anni.
Intanto, se il condizionale è d’obbligo nelle questioni afgane, anche la bozza d’accordo che i talebani avrebbero concordato nel Qatar con l’inviato americano Zalmay Khalilzad va trattata con prudenza. Dopo quasi una settimana di colloqui diretti, Khalilzad e la rappresentanza politica talebana che ha sede a Doha, sono arrivati a un accordo di massima su alcune questioni fondamentali anche se non del tutto risolutive. La prima riguarda un calendario d’uscita delle truppe straniere dal Paese (Nato compresa, che – come ha già ha fatto Roma - si adeguerà alle scelte americane), precondizione per trattare il resto. Gli americani avrebbero anche ottenuto garanzie su un’uscita indolore senza attacchi di sorpresa mentre i talebani si sarebbero impegnati a non avere nessun legame né con Al Qaeda né con lo Stato islamico. Gli altri punti nevralgici – il dialogo col governo di Kabul e il cessate il fuoco – restano invece dei nodi, non secondari, da sciogliere. Non è nemmeno chiaro se Washington potrà conservare l’utilizzo – magari con un ridotto numero di soldati – della base aera di Bagram, hub strategico in caso di conflitto con Mosca o Teheran. Difficile che gli americani vi intendano rinunciare....... (continua su DinamoPress)
Nelle immagini: Elisabetta Trenta, Enzo Moavero, Donald Trump


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